Singapore – La batteria del cellulare si sta scaricando? Un “impellente bisogno” potrebbe risolvere il problema. Un gruppo di ricercatori dell’ IBN (Institute of Bioengineering and Nanotechnology) di Singapore ha annunciato la realizzazione di una batteria, delle dimensioni di una carta di credito, ricaricabile con… urina.
La scoperta non è in realtà recentissima: le prime informazioni al riguardo sono state pubblicate la scorsa estate sul Journal of Micromechanics and Microengineering . In quell’occasione era stato pubblicato un abstract in cui i ricercatori, guidati dal dottor Ki Bang Lee, avevano evidenziato che un test-kit per l’analisi chimica delle composizione delle urine poteva essere “alimentato” dalla stessa sostanza oggetto dell’analisi (l’urina, appunto). Il primo prototipo realizzato, con una sola goccia dell’inusuale… propellente, consentiva di produrre 1,5 volt (gli stessi di una batteria stilo AA) e di funzionare per circa 90 minuti. Un risultato migliorabile, secondo gli stessi ricercatori, attraverso ulteriori affinamenti e l’impiego di materiali differenti.
Come ogni batteria, anche questa nuova fonte di energia può avere molteplici impieghi al di fuori dell’ambito diagnostico, e come spiegato dal dottor Lee, con le opportune modifiche potrebbe essere impiegata per alimentare dispositivi a basso consumo di energia.
Da qui nasce l’idea attuale su altre applicazioni: “Per esempio, possiamo integrare una nostra batteria ad un piccolo telefono cellulare” ha riferito Lee. Estendendo questo concetto, Daniel Kammen, ricercatore dell’università californiana di Berkeley, ha rilevato che la medesima tecnologia potrebbe essere impiegata per l’alimentazione di laptop, lettori portatili MP3 e altri dispositivi.
Sono vari i metodi da applicare per arrivare a questi obiettivi: costruendo batterie di maggiori dimensioni o affiancando più batterie. Nuovi risultati potrebbero essere ottenuti con il proseguimento delle sperimentazioni a Berkeley e Singapore, che hanno beneficiato dello stanziamento di nuovi fondi per la ricerca di fonti di energie alternative. E che, secondo alcune facili battute in circolazione nella rete, sarebbero stati impiegati anche nell’acquisto di alcuni fusti di birra.
D.B.