Roma – Ormai tutti i cellulari sono dotati di videocamera. Ma anziché andarci a pesca , o usarli per sapere cosa si respira , l’ Università di Berkeley ha pensato di sfruttarli come microscopio per diagnosticare a distanza una serie di patologie.
L’idea è partita come sfida per il dottor Dan Fletcher, professore di bioingegneria dell’Ateneo, che ha iniziato discutendone in aula e pensando al solo principio di funzionamento di una struttura, posta dinanzi alla camera di un cellulare, in grado di trasformarne le capacità di ripresa.
Quando i suoi allievi hanno dato alla luce qualche prototipo concreto, il “volano” ha iniziato a girare ed è nato CellScope , il microscopio per cellulari, cioè la novità che estende il raggio d’azione della microscopia moderna trasformando una comune videocamera da cellulare in un microscopio di qualità clinica , o almeno così la racconta il sito dell’Ateneo.
La struttura è posta dinanzi alla telecamera, illumina un porta-campioni con led bianchi ad alta luminosità ed offre anche uno zoom da 5 a 50x . Permette, naturalmente, la visualizzazione a distanza – grazie alla rete cellulare – di campioni biologici dei pazienti a fini diagnostici ed è abbastanza semplice da costruire: secondo il team, in produzione industriale un esemplare potrebbe costare meno di 100 dollari .
Con l’aiuto del software, poi, è possibile apporre annotazioni, classificare, organizzare ed inviare le immagini agli esperti medici che potranno analizzarle e prescrivere le eventuali terapie.
Potranno essere analizzati casi di infezione da malaria, pelle infetta, lesioni ulcerose e molte altre: l’invio immediato al centro diagnostico consente risparmio di tempo sia nel renderne consapevole il paziente che nel portare la diagnosi in zone difficili da raggiungere o in paesi poveri.
Il dispositivo, secondo Wilbur Lam – specializzando della facoltà e partecipante al progetto – verrà sviluppato anche per la diagnosi della tubercolosi: “Le implicazioni sono enormi, in particolare per la salute globale e la telemedicina. Stiamo introducendo possibilità diagnostiche in luoghi dove, al momento, mancano del tutto”.
Il team è ora al lavoro su una “seconda versione”, che verrà testata approfonditamente nel corso dell’anno.
Marco Valerio Principato