Chi è arrivato prima nella corsa alla realizzazione del chip quantistico, i canadesi o gli americani? La società D-Wave Systems di Burnaby, British Columbia sostiene da tempo di essere stata la prima a sviluppare questo genere di circuiteria avanzata, ideale viatico per la costruzione di una nuova industria elettronica capace di trasformare in realtà i sogni di potenza oltre ogni più rosea fantasia del quantum computing . Ma nell’ambiente della ricerca i risultati di D-Wave non vengono presi molto sul serio, mentre il recente lavoro degli scienziati della Yale University appare più concreto e sarebbe dunque da assegnare a loro il primato della realizzazione di un “quchip” funzionante .
Quantomeno quelli di Yale sono i primi a guadagnarsi una “peer review” su una pubblicazione rispettabile come Nature , cosa che dovrebbe funzionare da garanzia del lavoro dei ricercatori e da conferma dei risultati ottenuti. All’atto pratico questi risultati si misurano in un chip composto da 2 qubit (o quantum bit), ciascuno composto da miliardi di atomi di alluminio. Grazie alla proprietà dei quanti di energia, un qubit è in grado di mantenere lo stato di 0, 1 o un “super-stato” che li contenga entrambi.
L’utilizzo di 2 qubit implica dunque che il chip realizzato dai ricercatori statunitensi sia in grado di contenere 4 stati simultanei , laddove un chip di 2 bit potrebbe contenerne soltanto uno pescato da 4 diverse possibilità. Nello spiegare le modalità di funzionamento del loro quchip, quelli di Yale fanno l’esempio di quattro numeri di telefono diversi, uno solo dei quali appartiene alla persona da chiamare.
A un processore tradizionale occorrerebbe chiamare almeno due di questi numeri prima di trovare quello giusto, mentre sfruttando le proprietà dei quanti di energia si velocizza il processo ed “è come essere in grado di fare una singola chiamata che testa simultaneamente tutti e quattro i numeri” piuttosto che chiamarli uno alla volta, dice il professore di fisica e fisica applicata Robert Schoelkopf, “ma passa solo per quello giusto”.
Al momento il quchip di Yale è in grado di computare solo task quantici piuttosto semplici, dicono i ricercatori, una cosa “che è già stata dimostrata in precedenza con singoli nuclei, atomi e fotoni. Ma questa è la prima volta che è stato possibile in un dispositivo completamente elettronico che ha le stesse caratteristiche di un microprocessore tradizionale”.
Una volta eseguiti i calcoli il quchip è in grado di restituire i risultati su un “quantum bus” attraverso fotoni. Il risultato di Yale deve a ogni modo molto alle ricerche sui qubit dalla lunga vita , elementi che tendono a decadere con estrema rapidità ma che i ricercatori sono riusciti a tenere in vita almeno per un microsecondo , giusto il tempo necessario per compiere i calcoli desiderati e poi sparire per sempre. Gli autori dello studio sono ora al lavoro per estendere ulteriormente il tempo di permanenza dei qubit, in modo da far eseguire loro calcoli più complessi, e per aggiungere un maggior numero di qubit al loro prototipo di chip quantistico.
Alfonso Maruccia