Roma – Finiremo tutti con un chip sottopelle, contenente informazioni personali, che potrà essere letto da speciali device in mano alle autorità e a chi potrà permetterseli? Avremo tutti un rilevatore di posizione infilato in un braccio? Questa è la speranza di Applied Digital Solutions (ADS) , l’azienda di cui lungamente si è parlato anche su Punto Informatico, che in queste settimane sta sponsorizzando una serie di incontri sul tema negli Stati Uniti.
L’azienda, che qualche tempo fa ha avuto il via libera dalle autorità americane per la commercializzazione del device, almeno fino a quando non conterrà informazioni mediche, insiste nello spiegare che il chip non fa male, non rappresenta un rischio per la salute, può impedire o prevenire sequestri se utilizzato per la localizzazione delle persone, può rendere più veloci i rapporti con la Pubblica Amministrazione e via dicendo. E sono già una ventina i volontari che negli USA, a suon di dollaroni, si sono fatti inserire un chip ADS sottopelle.
Poco importa, a quanto pare, se alcuni autorevoli scienziati mettono in dubbio l’assoluta innocuità del device, perché nel tempo si temono effetti negativi, come infezioni estese, nella zona “impiantata”. E ancora meno sembrano importare gli strali di organizzazioni come EPIC che propongono la massima attenzione alla privacy nell’introdurre un sistema, il chip sottopelle, le cui conseguenze sociali oggi “non possono essere valutate”.
Eppure credo che il futuro sia sotto gli occhi di tutti. Non disponiamo di un carico filosofico e di un approccio conservativo e garantista sufficienti ad opporci alla potenza concettuale di quel device. Non appena proveranno che funziona e non fa male, le autorità vorranno inserirlo nelle braccia di tutti gli individui ritenuti socialmente pericolosi. Basta guardare quello che accade in Gran Bretagna, ne parla oggi Punto Informatico.
Poi si scoprirà che si potranno risparmiare miliardi se i malati cronici lo indosseranno per la rilevazione continua dello stato di salute. E’ solo questione di tempo. Per quanto inquietante possa sembrare credo che a questa novità, e a molte altre di questo genere, ci si debba iniziare a prepararsi, prima di tutto culturalmente. Questo, almeno, è quanto vorrebbero facessimo quelli di ADS ora che l’azienda, dopo anni di gavetta, ha iniziato a cavalcare il mercato nordamericano.