La Food and Drug Administration ( FDA ) americana ne ha approvato la commercializzazione e l’impianto sull’uomo, l’Unione Europea ha dato il suo via libera , e solo ora emerge un corpus di studi condotti a partire da metà anni 90, che sembra evidenziare un collegamento tra l’impianto di tag RFID, quali i discussi VeriChip , e l’insorgenza di tumori, sviluppati da cavie utilizzate per i test di laboratorio.
È Associated Press a sollevare la questione in una lunga inchiesta condotta con l’appoggio di luminari del campo. Inchiesta che rivela particolari interessanti anche riguardo al processo di revisione che ha condotto la FDA ad accordare l’impianto dei chip nel corpo umano. La Health and Human Services ( HHS ), la commissione incaricata dalla FDA di valutare opportunità e rischi dei chip sottopelle, era presieduta da Tommy Thompson , ex-governatore del Wisconsin, fervente sostenitore dell’uso della tecnologia al servizio della medicina. Thompson nega ogni coinvolgimento, ma AP instilla il sospetto che possa aver giocato un ruolo nelle procedure di approvazione, ricordando che, lasciato l’incarico presso la HHS, nel giro di cinque mesi è andato a ricoprire un incarico di rilievo presso VeriChip, ricompensato con una somma cospicua di denaro e con il conferimento di stock option per oltre 250mila dollari.
Thompson, al pari delle commissioni mediche che si sono susseguite nell’analizzare le implicazioni di VeriChip sulla salute umana, si è dichiarato all’oscuro della letteratura precedente , che AP ha portato all’attenzione del pubblico. Sono numerosi gli oncologi che, analizzati gli studi effettuati su piccoli animali come le cavie, hanno espresso preoccupazione , chi escludendo categoricamente la possibilità di farsi impiantare transponder, chi incoraggiando test su animali di taglia più grossa come scimmie o cani, che peraltro sono già coinvolti in programmi di tracciamento a mezzo RFID.
Gli studi presi in considerazione da AP offrono risultati alterni riguardo all’incidenza del cancro su animali chippati: un test del 1997 imputa ai microchip la responsabilità dei tumori sviluppati dall’uno per cento delle cavie, altri studi sembrano esprimersi con più cautela. Ars Technica avverte come i test non dimostrino che l’impianto di chip sia direttamente responsabile dell’insorgere di tumori. In primo luogo, i ratti sembrano più soggetti a sviluppare il cancro rispetto agli esseri umani. Si rileva inoltre come l’insorgere di sarcomi non sia direttamente collegato all’operare dei tag RFID, ma dipenda piuttosto dall’ infiammazione dei tessuti che accolgono la capsula nel quale il chip è posizionato, una problematica che potrebbe essere risolta lavorando su materiali in grado di essere tollerati meglio.
Nonostante all’unanimità si richiedano ulteriori approfondite analisi, che VeriChip promette di affrontare una volta verificata l’attendibilità degli studi citati da AP , duemila transponder sono operativi nel corpo degli americani, parte dei quali impiantati per vigilare sulla salute di malati , altri per tracciare gli spostamenti di lavoratori, accondiscendenti o meno.
Al di là delle minacce che l’impianto dei chip può costituire per la salute, c’è chi, come Cory Doctorow di BoingBoing , preferisce non rischiare: un chip sottopelle è un’identità sbandierata, a rischio di clonazione da parte di malintenzionati, e a disposizione di stato e industria, inevitabilmente sottoposti alle tentazione della sorveglianza globale .
Gaia Bottà