Caro Punto Informatico,
ritengo di essere un buon avvocato del diavolo, e mi piace guardare le cose da punti di vista non convenzionali: disserterò quindi brevemente sul tema della lotta alla pirateria avviata dalle majors.
Nell’ articolo a cui mi riferisco si porta l’attenzione su un ulteriore studio (un altro, tra i tanti) che dimostra che la pirateria è un male e va combattuta ed estirpata in ogni modo.
Non voglio entrare nel merito del diritto, per cui ciò che è illegale è, evidentemente, illegale.
L’aspetto su cui desidero concentrare l’attenzione è il metodo subdolo con cui questa battaglia viene a volte portata avanti.
Lo studio citato nell’articolo tenta addirittura di mettere contro la pirateria l’opinione pubblica (meno posti di lavoro) e lo stato (meno soldi al fisco). D’altra parte questo studio, come tutti quelli analoghi di cui ho sentito parlare, considera i consumatori come illimitate fonti di denaro.
Si fa guerra alla pirateria del software; altrettanto per audio e video, e via così anche per le borsette ed i capi firmati, pensando che se non esistessero più tutte queste forme di commercio illegale tutti i settori merceologici ne beneficerebbero.
E di conseguenza il fisco.
Credo che il ragionamento vada ribaltato, chiedendosi quanto i consumatori possono permettersi di spendere, tenendo conto che, comunque spendano i propri soldi, una parte del denaro speso entra nelle casse dello Stato (sia che siano stati comperati film, CD da masterizzare, o connessioni ad Internet). Per quanto riguarda il nero, è un problema che il fisco deve affrontare indipendentemente dalla pirateria.
Capito quale sia il potenziale di spesa del mercato, resta solo da decidere come si preferisce che questo denaro venga speso. O meglio: questa decisione dovrebbe rimanere al consumatore; al contrario, i vari settori cercano di accaparrarsi la fetta più grossa possibile di questo potenziale economico, ovviamente, e non dichiaratamente, a scapito degli altri settori.
Sul tema della qualità v’è poi molto da dire: in origine le grandi case (cinematografiche, musicali, editrici, etc.) avevano un ruolo sociale importante: non potendo pubblicare tutto e non potendo raggiungere tutti, dovevano operare una selezione, dalla quale emergeva, in generale, il meglio (la Qualità). Oggi invece viene pubblicato tutto, e si cerca di vendere tutto a tutti; la qualità non è più intrinseca del prodotto, ma è legata a quanto e come il prodotto viene pubblicizzato e commercializzato.
Ma le ore che una persona può dedicare ogni giorno alla lettura, alla musica ed al video (o cinema) sono sempre le stesse, o forse meno, vista la grande quantità di impegni di cui ci carichiamo.
Non ci è proprio possibile fruire di tutto ciò che vorrebbero che comperassimo.
Andrea Rui