La copia delle pagine web effettuata dai motori di ricerca non è una copia come qualunque altra, denunciare i motori di ricerca per violazione del diritto d’autore è una guerra persa: il detentore dei diritti ha la possibilità di sfuggire all’indicizzazione e di scampare alla copia cache che tanto lo impensierisce. Se decide di rinunciare a robots.txt, concede ai motori di ricerca la possibilità di effettuare una copia da mantenere sui propri server.
A stabilirlo è il giudice Mary A. McLaughlin in un caso sollevato da tale Gordon Roy Parker , autore di opere letterarie nonché recidivo querelante inviperito con la rete. Parker, autodefinitosi un guru della seduzione in pensione , coach online dell’ ars amatoria reclutabile per 2500 dollari al mese, ha messo a disposizione le sue sudate carte sul proprio sito affinché fossero accessibili liberamente e gratuitamente . Poi si è scagliato contro Yahoo e Microsoft, rei di indicizzarne gli arzigogoli retorici e di effettuare copie non autorizzate mantenute sui propri server e accessibili ai netizen. Nel 2004 per questo stesso motivo Parker si era avventato contro Google: accusava il motore di ricerca di ripubblicare senza autorizzazione le sue opere, accusava Mountain View di diffamazione poiché Google Groups rendeva accessibili dei commenti postati da netizen poco generosi nei confronti del suo talento letterario. L’accusa di diffamazione era stata ritenuta insostenibile dal giudice incaricato di dirimere il contenzioso, così come quella di violazione del diritto d’autore.
I tribunali sono tornati ad esprimersi riguardo alle denunce di Parker: la giudice McLaughlin ha stabilito che Parker non possa pretendere alcunché da Microsoft e Yahoo perché la responsabilità dell’indicizzazione è da imputare alla sua negligenza . L’estensore della denuncia ha ammesso di sapere dell’esistenza delle accortezze per sfuggire ai bot, ha ammesso di avere le competenze per fare un saggio uso del robots.txt per allontanare gli spider e scongiurare l’indicizzazione. Parker, inoltre, non si era avvalso della sua facoltà di richiedere la rimozione dall’indice dei suoi contenuti. “Dalle dichiarazioni di Parker si evince che era a conoscenza del fatto che, se non avesse messo in atto le opportune procedure, i motori di ricerca avrebbero mostrato una copia delle sue opere – spiega la giudice McLaughlin – dal silenzio di Parker e dalla mancanza di precedenti obiezioni, Microsoft e Yahoo possono propriamente dedurre che Parker sapeva e ha incoraggiato l’attività dei motori di ricerca”.
Il silenzio di Parker si è tradotto dunque in un implicito assenso all’incursione dei bot e alla copia in cache, si è tradotto in una “licenza non esclusiva” concessa ai motori di ricerca, per cui sarebbe troppo oneroso chiedere l’autorizzazione a tutti gli attori della rete per ottenere il via libera all’indicizzazione dei contenuti.
Parker non si era limitato però a puntare il dito contro i motori di ricerca: aveva configurato il caso del netizen che attinge alla cache di Microsoft e Yahoo per appropriarsi della sua opera letteraria. La giudice McLaughlin non ha avuto esitazioni: se Parker mette liberamente a disposizione il frutto della propria fatica affinché i netizen possano fruirne, Parker non ha motivo di preoccuparsi di coloro che ne fruiscono attraverso la cache dei motori di ricerca.
Gaia Bottà