La tecnologia come manifestazione e vettore della globalizzazione: questo uno degli aspetti analizzati nel corso dell’ indagine ad ampio raggio condotta da Pew Global Attitude Project . 45mila le persone intervistate in 47 paesi di tutto il mondo, molte delle quali favorevoli all’avvento di un mercato globale, e al tempo stesso consapevoli e preoccupate per i rischiosi meccanismi che potrebbe innescare una globalizzazione non sostenibile.
Se mappe e indicatori di connettività e uso di Internet mostrano espliciti un gap ancora abissale, il divario digitale sembra a sprazzi assottigliarsi , secondo i dati raccolti da Pew.
Prima buona nuova: l’uso del computer è cresciuto sensibilmente negli ultimi cinque anni in 26 dei 35 paesi di cui Pew ha potuto fruire di dati comparativi: una crescita che ha coinvolto soprattutto i paesi del primo mondo, estendendosi a nuovi strati sociodemografici.
Le zone più deprivate di Africa, Asia e America Latina arrancano però ancora nel baratro del digital divide, complici collegamenti traballanti e l’urgenza di investimenti troppo consistenti, per i quali è spesso necessario dipendere da aziende estere, restie a spingersi laddove le prospettive di profitto non siano immediate.
Altro dato non troppo incoraggiante: solo il 42 per cento degli intervistati italiani dichiara di usare almeno occasionalmente il PC, una percentuale che corrisponde all’esatta metà di quella totalizzata dalla virtuosa Svezia, ma altresì lontana da quella di Repubblica Ceca e Slovacchia, che vantano entrambe il 73 per cento di popolazione informatizzata. Una percentuale che sfigura anche se confrontata con il tasso di penetrazione delle tecnologie informatiche in paesi dell’America Latina come Brasile e Venezuela , in forte ascesa.
Per quanto riguarda invece i computer di proprietà, l’Asia è il continente più polarizzato , dalle tonalità più contrastanti: la Corea del Sud vanta il 93 per cento di cittadini dotati di computer, mentre sono solo il 2 per cento i privilegiati del Bangladesh a possederne uno, anche se la diffusione “dal basso” degli Internet point sta iniziando a sopperire a questa mancanza.
Più confortante la situazione del mercato della telefonia mobile nei paesi emergenti , nei quali gli operatori esteri investono con più disinvoltura, sospingendo a loro volta un trend in crescita. Già da anni si prevede che proprio la connettività mobile possa rappresentare il la via alla digitalizzazione dei paesi del Sud del mondo, una telefonia mobile che cresce ovunque a ritmi sostenuti: unica esclusa l’Italia, che da cinque anni si è assestata su un tasso di penetrazione del 79 per cento.
Se l’ascesa della telefonia mobile rischia di incappare in mercati saturi nei paesi del primo mondo, sono i paesi emergenti a giocare un ruolo fondamentale, trainando le statistiche che fanno prevedere il raggiungimento di una penetrazione su scala globale del 50% . Sono ancora molti gli intervistati che non possiedono un telefonino, ma il gap si sta progressivamente colmando, grazie a tassi di crescita che in alcuni paesi africani e asiatici sfiorano o superano il 50 per cento, complici i costi insormontabili necessari per innervare di linee telefoniche fisse aree disconnesse, a fronte di una connettività mobile decisamente più economica da innestare.
Ciò rappresenta un notevole passo avanti per aree del mondo che faticano ad affrancarsi dalla spesso ingombrante dipendenza dai paesi sviluppati: la telefonia mobile, oltre a migliorare la qualità della vita nell’immediato, consente di innescare virtuosi circuiti microeconomici e, nel futuro, potrebbe proiettare nel mercato globale attori prima ridotti ad un obbediente isolamento.
Un’indipendenza che si potrà guadagnare anche grazie alla progressiva capacità della tecnologia di veicolare l’informazione.
Se infatti la tv resta la principale fonte di informazione per molti degli stati, se in Africa domina ancora la radio, spesso unico veicolo di partecipazione e di informazione in paesi dove i flussi delle notizie sono filtrati da governi dittatoriali, è altresì vero che i nuovi media avanzano progressivamente , a spese soprattutto della carta stampata . Esempio lampante, l’iniziativa di un quotidiano sudafricano che, primo nel continente, offrirà notizie online via cellulare. Cellulare che, spiega ad AFP un rappresentante della media company sudafricana, contribuirà ad abbattere il divario tecnologico e sociale.
L’informazione viaggia dunque sempre più spesso in Rete. La tendenza non vale soltanto per i paesi del primo mondo (con le immancabili eccezioni: rispettivamente il 12 e il 10 per cento di spagnoli e italiani dichiarano di informarsi online, a fronte del 35 per cento degli americani), ma che coinvolge paesi emergenti e in via di sviluppo.
Internet è spesso sottoposta ai tentativi censori di despoti e governi, a volte non raggiunge che pochi strati della popolazione, ma il recente esempio del Myanmar sta dimostrando come la Rete possa fungere da canale informativo indipendente, grassroot e globale, laddove i media tradizionali non sanno sfuggire ai bavagli statali.
La tecnologia gioca un ruolo importante nel processo di globalizzazione dei mercati, osservano i ricercatori sulle pagine di PC World . Un’economia globale e connessa che molti degli intervistati interpretano come una minaccia che pende su valori e peculiarità locali , come un’occasione, per i paesi più sviluppati, di imporre o consolidare un imperialismo economico e culturale, che rischia di annichilire valori e tradizioni , innescando dinamiche con le quali i pochi possono lucrare a spese dei più.
È vero però che la tecnologia può essere altresì un mezzo per ambire alla glocalizzazione , per valorizzare sistemi e sottosistemi in un mercato più che mai complesso. La possibilità di esprimersi, l’informazione indipendente offerta dai nuovi media può agire sulla società civile, preparandola ad operare in modo responsabile e sostenibile in una società globale.
Gaia Bottà