Un’atmosfera elettrizzante nel lungo processo di mutamento dell’industria musicale verso i nuovi consumi digitali, per capire cosa vogliono gli ascoltatori connessi in mobilità, come monetizzare al meglio i mercati emergenti dove aumenta in maniera esponenziale l’utilizzo di smartphone e tablet. Nelle dichiarazioni del CEO Frances Moore, tutta la soddisfazione della International Federation of Phonographic Industry (IFPI) per gli ultimi risultati registrati nel classico Digital Music Report .
Per la prima volta dal lontano 1999 – c’era GeoCities, si vendevano milioni di album del fenomeno pop Britney Spears prima dell’avvento di Napster – l’industria musicale ha visto crescere dello 0,3 per cento il suo fatturato complessivo , giungendo così ad un totale di 16,5 miliardi di dollari (circa 12 miliardi di euro) alla fine dello scorso anno. In stallo da anni, gli introiti delle major sono certamente stati sospinti dall’ imperioso successo delle piattaforme online per la distribuzione di musica.
Nel gennaio 2011 IFPI aveva contato 23 mercati del mondo in cui fossero presenti servizi per il download o lo streaming dei brani. Ora queste stesse piattaforme sono attive in più di 100 paesi, comprese quelle aree Brics (Brasile, Russia, India, Cina) in cui le nuove tecnologie connesse stanno prendendo piede con veemenza. Alla fine del 2012 il fatturato digitale dell’industria musicale è cresciuto del 9 per cento a 5,6 miliardi di dollari (4 miliardi di euro circa) rappresentando oltre il 30 per cento dell’intero volume d’introiti.
È la grande espansione delle piattaforme legate allo streaming sonico – alcune fonti rimaste anonime hanno parlato in esclusiva di un accordo tra Google e le grandi etichette per il prossimo lancio di un servizio molto simile a Spotify – e in generale al modello a sottoscrizione, che alla fine dello scorso anno ha attirato 20 milioni di utenti, il 44 per cento in più rispetto alla fine del 2011 . Il primato resta però alle piattaforme di download come iTunes, che rappresentano il 70 per cento dell’intero fatturato proveniente dal digitale.
Se i vertici di IFPI continuano a manifestare grande preoccupazione per la proliferazione di contenuti tutelati dal copyright – l’industria britannica si è unita a quella statunitense nella ramanzina al motore di ricerca Google per gli scarsi risultati finora nel filtraggio dei suggerimenti automatici o nella penalizzazione dei link pirata – una recente ricerca condotta dalla società d’analisi NPD ha sottolineato come l’ascesa di Spotify e soci abbia provocato un calo drastico nel consumo illecito a mezzo P2P o BitTorrent.
Stando ai numeri snocciolati dagli analisti di NPD , il numero complessivo di utenti legati alle piattaforme di file sharing è calato del 17 per cento dalla fine del 2011 al dicembre 2012 . Particolarmente vistoso il calo (-26 per cento) nel volume di brani scaricati a mezzo P2P, così come quello (-44 per cento) legato ai CD masterizzati o ai cosiddetti cyberlocker, in discesa del 28 per cento anche grazie alla chiusura di Megaupload da parte delle autorità statunitensi.
Mauro Vecchio