Chi ci fa più caso ormai? Email, musica, film, libri, archivi, banche dati di missioni spaziali, studi, analisi e chi più ne ha più ne metta, tutto è trattato, trasmesso, elaborato e archiviato in formato digitale . Uno studioso si chiede se tutto ciò potrà essere trasmesso ai posteri, se di tutto questo resterà traccia, e la sua risposta non è rassicurante .
“Con l’attuale stato della tecnologia, i dati sono vulnerabili perché esposti alla cancellazione, sia accidentale che voluta”, dice Jerome P. McDonough, assistente professore presso la Graduate School of Library and Information Science dell’Università dell’Illinois. “Ciò di cui abbiamo bisogno è un ambiente dove si abbia la possibilità di accertarsi che i dati non debbano morire a causa di incidenti, intenti malevoli o semplice trascuratezza”.
Lo studioso vellica la fantasia di chi legge con esempi ficcanti. Non è poi trascorso così tanto tempo da quando dati e programmi erano memorizzati su floppy da 8 pollici . Alcuni ricorderanno di aver posseduto hard disk da 20 megabyte quando, grazie ad un controller RLL si lievitò dai 20 megabyte del formato MFM ai 32 mega byte del nuovo formato. Un formato che, dice il ricercatore, oggi è quasi impossibile rileggere, come estremamente difficoltoso è rileggere un floppy da 5 pollici e 1 quarto scritto in formato GCR da un Commodore 64.
E cosa dire dei nastri magnetici? Ancora oggi sono impiegati – sia pure in formati totalmente diversi dal passato, anche recente – per memorizzare i backup di un numero sterminato di organizzazioni. I nastri degradano con il tempo, come tutti gli altri supporti: la loro efficacia è a rischio nell’arco di una decade. Il National Archives statunitense già nel 2000 avvertiva del problema: a metà degli anni ’70 solo due macchine al mondo potevano leggere i dati del Censimento che gli States fecero nel 1960, una in Giappone e l’altra allo Smithsonian Institute. Altrettanto brutta fine hanno fatto i dati del 1976 relativi all’atterraggio su Marte del Viking, ormai illeggibili e persi per sempre .
Dunque, il grido di allarme di McDonough è rivolto agli esperti di oggi, perché non disperdano l’enorme patrimonio che si accumula velocissimo. Oggi circolano qualcosa come 369 exabyte (369.000.000.000.000.000.000: per farla breve, 369 seguito da 18 zeri) di dati e sarebbe davvero un peccato non tener conto del futuro. “Utilizzare standard aperti è un gran passo, ma non basta – dice McDonough – Se vogliamo che questo patrimonio informativo sopravviva, dobbiamo renderlo indipendente da uno specifico supporto. I DVD commerciali che usano schemi di protezione, ad esempio, rendono impossibile trasferire il loro contenuto su altri supporti. Così, quando il vecchio supporto morirà , tutte le informazioni che contiene moriranno con esso”.
Al lavoro, dunque: proteggere è giusto commercialmente richiesto , evolvere è naturale, ma occorre evitare – sono parole dello studioso – di lasciare in eredità ai giovani una Digital Dark Age , un’era digitale buia.
Marco Valerio Principato