Un’occhiata ai siti di informazione e ai blog è sufficiente in queste ore, e ormai da un paio di giorni, per comprendere la portata di quello che è divenuto un dibattito globale sulle tecnologie di gestione dei diritti (DRM) dopo la presa di posizione del patron di Apple Steve Jobs, promotore peraltro del maggiore negozio di musica in rete, l’iTunes Music Store. Di questo, e soprattutto di come si può uscire da una polemica che incrocia questioni tecnologiche al mercato e diritti ad ostacoli normativi, Punto Informatico ha parlato con Leonardo Chiariglione , “papà” di MPEG e fondatore del Moving Pictures Experts Group in ambito ISO/IEC, nome già molto noto ai lettori di PI e legato a molte diverse iniziative sul fronte dei digital media come Digital Media Project e Digital Media in Italia .
Punto Informatico: In questi giorni bollenti sul fronte del DRM c’è chi dice che va abolito, chi lo vuole interoperabile, chi vorrebbe eliminarlo ma sostiene di non poterlo fare
Leonardo Chiariglione: Credo che per prima cosa sia necessario mettersi d’accordo su cosa significhi DRM. DRM in inglese sta per Digital Rights Management , ovvero Gestione informatica dei diritti . Per contrasto, prendiamo le Creative Commons: sono un set di licenze che aprono ad una gestione analogica dei diritti, nel senso che sono leggibili dall’uomo ma non sono leggibili da una macchina.
PI: Sì, ma l’applicazione concreta del DRM oggi si traduce perlopiù in paletti e limitazioni alla fruizione delle opere da parte di utenti e consumatori
LC: Il concetto è la gestione dei diritti. Con MPEG tre settimane fa abbiamo fatto partire uno standard che da ottobre, finalizzate le procedure, permetterà una gestione digitale dei diritti in ambito Creative Commons.
PI: DRM e CC?
LC: Sì, si potranno rilasciare contenuti, ad esempio un file mp3, associati ad una licenza: la macchina trasforma i bit della licenza in una forma che io utente posso leggere, e ci scrive sopra anche che gli autori dell’opera sono felici che venga diffusa, ma non vogliono che se ne faccia un utilizzo commerciale.
È questo il Digital Rights Management. Su queste basi il DRM lo vogliono tutti, perché qualsiasi autore, se produce un’opera, vuole essere riconosciuto come autore della stessa.
PI: Ma nel DRM le major dell’intrattenimento pongono strumenti anticopia
LC: Alle case discografiche questa impostazione non basta. C’è chi ritiene, cioè, che servano anche strumenti che impediscano di fare quello che l’autore non vuole che si faccia con la sua opera. Non ho una opinione se sia giusto o sbagliato, c’è chi dice una cosa e chi ne dice un’altra. Però è evidente che applicare tecniche di protezione è risultato un approccio perdente.
PI: Eppure, l’industria sembra vedere nei lucchetti digitali l’unica vera risposta al, diciamo, nuovo mondo digitale
LC: Ma non si può sottovalutare che negli ultimi 5-7 anni il fatturato ad esempio dell’industria discografica sia sceso di un 10-15 per cento. Questo vuol dire che qualcosa effettivamente non funziona. Magari un domani può risultare anche sensato rilasciare musica, film o altre opere in formato protetto, ma su questo non ho opinioni.
PI: E Steve Jobs? Lui, che ha creato lo store online di maggiore successo, lo ha fatto con un sistema blindato. Però vorrebbe poterne fare a meno
LC: A Steve Jobs bisogna fargli tanto di cappello: ha inventato un sistema Apple, un’industria che non è più di computer ma è una società di consumer electronics. Il presupposto è chiaro: “voglio creare i player mp3 più belli del mondo ma se io mi metto a farli sta a vedere che verrà fuori la causa, come già successo 30 anni fa per il registratore Betamax nel caso Sony vs. Universal, quindi io ci creo attorno un servizio di musica a pagamento, con tutti i crismi e le protezioni che vogliono le case discografiche, così non mi dicono niente”.
PI: Però Jobs ora dice che a lui il DRM non piace affatto
LC: Non c’è dubbio che Jobs non voglia il DRM, visto che ha venduto in questi anni solo due miliardi di canzoni. Pochissimo. Il punto però è che mentre le case discografiche vogliono che Jobs protegga la loro musica, lui fa notare come loro ogni anno rilascino miliardi di brani su CD senza DRM.
PI: Come se ne esce?
LC: Ritengo fortemente che il Digital Rights Management come descritto prima sia qualcosa di cui tutti hanno bisogno. Sull’interoperabilità del DRM, un elemento essenziale, non mi pare che ci siano segnali che dimostrino che l’industria discografica globale sia interessata ad un DRM di questo tipo, quantomeno non vedo fatti che dimostrino questa volontà.
PI: Con Digital Media in Italia, il gruppo di lavoro di cui è coordinatore, però una proposta la sta sviluppando
LC: DMIN ha come obiettivo le specifiche di un DRM interoperabile. Penso che uno standard di questo tipo, che lega DRM e Creative Commons, possa far comodo a tutti. Si immagini che in tutti i computer vi sia un applicativo capace di leggere la licenza, di presentarla a video, che suggerisca all’utente quello che l’autore dichiara che si può fare o non fare con l’opera.
PI: Una specie di informativa “sensibilizzante”
LC: Fatto salvo che Creative Commons non permette la cifratura delle risorse, nel testo e via dicendo, può però dare una informazione. Penso che la cosa importante sia stabilire un canale di comunicazione tra chi crea e chi consuma, il più possibile non-mediato.
PI: Un dialogo diretto autore-fruitore
LC: Penso che chiunque scaricando il brano di un autore ignoto, leggendo che questi è felice che lui lo stia scaricando e al contempo gli chieda di rispettare il modo in cui l’opera viene distribuita, al 99 per cento accetterebbe le volontà dell’autore. Io autore, cioè, parlo direttamente con te utente per dirti: vorrei che tu non facessi questo.
PI: Senza lucchetti che però impediscano all’utente poi di agire se ha, come dire, la faccia tosta per fare come gli pare
LC: Se si adottano anche i lucchetti si mettono in moto quel genere di meccanismi di ribellione sociale che stanno dietro a molti dei fenomeni cosiddetti di pirateria . Che non sono accettabili, naturalmente, ma è importante capire quali sono i meccanismi che portano alla pirateria, che non sono solo quelli di fare del male.
Chi vuole deve poter proteggere quello che ritiene, però senza forzare la gente a comprare tre volte la stessa cosa solo perché sta su tre piattaforme diverse, questo è prendere in giro chi consuma.
PI: L’interoperabilità torna centrale
LC: L’interoperabilità, anche in DMIN, è la richiesta basilare. E questo perché se abbiamo sistemi di gestione o di protezione che non sono interoperabili, allora arriviamo alla situazione odierna, quella di una sorta di movimento che sta crescendo contro l’attività Apple.
PI: Questo scenario sembra richiedere un’innovazione normativa prima ancora che culturale
LC: In DMIN vi sono giuristi che stanno lavorando per far sì che l’intera proposta DMIN abbia questo aspetto libertario, fondato sul creare un dialogo tra chi crea e chi consuma.
L’approccio CC è quello secondo cui l’autore quando pubblica qualcosa dice a chi ne fruisce come vorrebbe che la sua opera sia trattata. Mi sembra un diritto sacrosanto.
a cura di Paolo De Andreis