Londra – L’editoria digitale è ad un bivio e una scelta sbagliata potrebbe segnare il futuro delle biblioteche e della libera circolazione del sapere . Queste le preoccupazioni che ha voluto rendere pubbliche British Library , l’istituzione bibliotecaria più importante del Regno Unito.
Il ragionamento è semplice: l’incremento della produzione digitale, a scapito di quella cartacea, potrebbe creare in futuro seri ostacoli per la fruibilità e circolazione delle opere . E questo perché l’uso pervasivo delle soluzioni DRM (Digital Rights Management) si traduce sempre più spesso in un impedimento all’uso legittimo delle opere da parte delle biblioteche. Come a dire cioè che le prossime generazioni potrebbero trovarsi nella condizione di non poter accedere liberamente a migliaia di testi .
British Library, ogni anno, investe l’equivalente di circa 2,9 milioni di euro per acquistare contenuti digitali, come magazine e manuali, una fetta consistente dei 12,3 milioni che compongono il proprio budget. Ma, affermano ora i responsabili dell’importante istituzione britannica, dal 2020 il 90% delle opere sarà distribuito in formato digitale , trasformando le biblioteche in mediateche, costringendole a vivere la gestione del diritto d’autore come un “problema” quotidiano.
“Abbiamo sempre cercato di mantenere equilibrato il rapporto tra il pubblico interesse e i diritti di chi detiene il diritto d’autore sulle opere. Ma l’avvento del digitale potrebbe disturbare questo equilibrio, e scontrarsi con gli interessi culturali nazionali”, ha dichiarato Clive Field, direttore della British Library.
Alle biblioteche è permesso di dare accesso ai testi grazie ad una clausola “di privilegio” presente nelle normative dedicate, ma l’adozione da parte degli editori di tecnologie DRM potrebbe far decadere questo vantaggio , che oggi viene considerato costitutivo di una società aperta e centrale per la diffusione della conoscenza.
Per questo motivo, la Libraries and Archives Copyright Alliance ( LACA ), organizzazione che rappresenta le istituzioni bibliotecarie anglosassoni, si sta impegnando per ottenere un aggiornamento delle norme , per evitare che confliggano con gli interessi della collettività.
In una nota, LACA spiega: “(…) vi è una preoccupazione diffusa per gli effetti dannosi che potrebbero provocare le soluzioni DRM nel comparto delle biblioteche, in quello degli archivi e nella comunità dell’informazione. L’uso eventuale di tecnologie DRM da parte dei detentori dei diritti sulle opere non è contemplato dalle leggi (..) Questa politica di controllo si scontra con i privilegi delle biblioteche, e insidia il diritto legittimo dell’accesso pubblico alla memoria”. “Questa sarà una delle più importanti sfide per i prossimi anni”, ha ammesso Field.
Google, ad esempio, pur criticata da molti editori per il suo servizio Print , collabora con alcuni di loro per lo sviluppo di una piattaforma di noleggio dei contenuti editoriali a pagamento, sempre però con dure limitazioni licenziatarie – il Wall Street Journal ha stimato tempi di prestito non superiori a una settimana.
Lo scontro fra gli editori e gli interessi del pubblico è sempre più acceso, e nelle ultime settimane ha visto persino il Vaticano schierarsi contro la libera circolazione dei testi papali. Insomma, secondo alcuni analisti il problema della portabilità dei diritti non sembra essere più solo una questione legislativa, ma ideologica. Le scelte che verranno fatte in questo campo condizioneranno l’accesso alla cultura. Chi potrà permetterselo continuerà ad acquistare libri o diritti di lettura, gli altri rimarranno fuori e non potranno che affidarsi all’elusione delle leggi.
Dario d’Elia