È una situazione paradossale quella vissuta oggi da Google, le cui attività italiane sono finite al centro di un’indagine condotta dalla Guardia di Finanza: la notizia è partita da alcune indiscrezioni raccolte dalla stampa italiana, confermata direttamente dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi nel corso di una conferenza organizzata da Il Sole 24 Ore , prima ancora però che ai diretti interessati fosse notificato alcun atto sia presso gli uffici italiani che presso la sede istituzionale in Irlanda a cui fanno capo tutte le operazioni europee.
La mancanza di notizie precise ha anche causato un incredibile balletto sulle cifre che sarebbero in ballo in questa inchiesta: la stima più probabile, che tuttavia andrà verificata in seguito, parla di circa 227 milioni di euro di imposte che la Finanza ritiene siano state evase da Google (a fronte di 300 milioni di imponibile), relative agli anni compresi tra il 2009 e il 2013. Le cifre non sono state confermate dalla già citata Orlandi, che ha invece confermato che “la Guardia di Finanza sta notificando in queste ore un verbale” a Mountain View, ma non ha aggiunto altro trincerandosi dietro l’intenzione di non commentare un procedimento ancora in corso. Cifre per altro lontane da quelle circolate un anno fa , in cui già si favoleggiava di un accordo tra Google e il Fisco italiano.
Va detto che quella che si prefigura è una situazione molto diversa da quanto non fosse nel caso Apple, a cui tutti però già paragonano la vicenda: innanzi tutto siamo agli albori del procedimento , che per ora non ha visto coinvolta l’azienda bensì solo le Forze dell’Ordine che hanno indagato sulle attività svolte da Google nel Belpaese, e con le prime che solo ora hanno presentato le proprie conclusioni alla Magistratura, alla Agenzia delle Entrate e ovviamente alla stessa Big G. A questo punto verrà notificato a Google un verbale che chiarisca quali sono le contestazioni che la Finanza solleva sul suo operato, e si avvieranno due diversi procedimenti (uno in sede civile e uno in sede tributaria) che prevedono delle istruttorie e l’intervento dell’azienda che potrà tentare di spiegare la propria posizione ed eventualmente respingere gli addebiti.
Altra differenza piuttosto significativa è la sostanziale immaterialità che riguarda le attività di Google rispetto a quelle di Apple: l’azienda di Cupertino produce un’ampia fetta del proprio fatturato con la vendita di hardware (smartphone, tablet, PC ecc.), mentre per quanto riguarda Mountain View i Nexus e i Chromebook sono una fetta del tutto marginale del giro d’affari online messo in piedi in questi anni. Non transitano merci negli hub degli spedizionieri e nelle grandi catene della GDO, e dunque in questo caso più che in altri si metterà alla prova l’attuale regime tributario italiano rispetto a queste nuove forme di business fiorite dal 2000 in avanti: argomento a lungo oggetto di dibattito in Italia, con la proposta poi tramontata di una Web-Tax , dibattito che ora si è spostato a livello europeo con la Commissione impegnata ad elaborare un nuovo accordo continentale per accordare e concertare tra di loro i diversi sistemi di tassazione vigenti nei diversi paesi dell’Unione (sposando il principio di tassare i profitti nel paese in cui vengono realizzati).
Al termine della sua vicenda con Fisco italiano, Apple ha inoltre deciso come si dice in gergo di “aderire al verbale”: di fatto ha accettato tutte le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate e ha pagato la cifra di 318 milioni che le era stata richiesta senza sconti (particolare che stamani il direttore Orlandi ha voluto ribadire ). Non sappiamo ora, e probabilmente non lo sa neppure Google visto che non è al corrente di quali siano le contestazioni che le vengono mosse, se invece in questa circostanza si avvierà una trattativa per negoziare una transazione. In ballo ci sono gli attuali accordi stipulati da molte aziende con il fisco di alcune nazioni come l’Irlanda o il Lussemburgo , che hanno garantito sostanziosi sconti sulle tasse da pagare facendo però transitare tutti gli utili attraverso le maglie del fisco di un solo paese.
Da Google per ora arriva solo una dichiarazione laconica, che dice molto su quanto l’intera vicenda sia decisamente solo all’inizio di un lungo percorso: “Google rispetta le normative fiscali in tutti i paesi in cui opera – recita il comunicato attribuito a un portavoce – Continuiamo a lavorare con le autorità competenti”. Come ha fatto nel Regno Unito , dove ha appena chiuso una vicenda simile con il pagamento di 130 milioni di sterline.
Luca Annunziata