Milano – La Full Sail School of Film, Art, Design, Music & Media Production ha ricevuto a fine marzo l’attributo di Università privata, negli Stati Uniti. La scuola ha sede a Winter Park, in Florida. Fondata nel 1979, offre programmi di laurea in Computer Animation, Game Art, Game Design, Game Development, Arti Digitali e tanto altro. Attualmente conta 5800 studenti e già prima del riconoscimento svolgeva corsi di formazione professionale avanzati e programmi di inserimento lavorativo: software house cui Infinity Ward, Insomniac Games ed Electronic Arts assoldano con frequenza gli studenti più meritevoli.
In programma baccellierati e master. Negli States il titolo di baccelliere si conferisce a chi consegue 180 crediti universitari (l’equivalente dei CFU in Italia) i quali vengono distribuiti nel corso di tre anni. Il bachelor è l’equipollente della laurea triennale in vigore nel nostro Paese. Il master è invece il proseguimento del bachelor con 60 o 120 crediti universitari ulteriori, distribuiti nel corso di uno o due anni, simile a quella che in Italia è la laurea specialistica.
Mentre in Italia gli esempi accademici di questo tipo sono sporadici quando non del tutto inesistenti, negli USA un gran numero di Università prende sul serio il settore dei videogame con corsi di laurea specifici. C’è solo l’imbarazzo della scelta. D’altronde si tratta di un’industria da miliardi di dollari e in costante ascesa. Da loro.
Per quanto riguarda il nostro Paese, gli esempi sono davvero pochi. Punto Informatico ha raggiunto Daniele Marini , docente di Informatica Grafica presso il Dipartimento di Informatica e Comunicazione di Milano.
Punto Informatico: Cercando sul web corsi di Game Design a livello accademico quello dell’Unimi sembra essere uno dei pochi sul territorio nazionale. Ma da lei apprendiamo che il corso è stato sospeso. Come mai? Com’era strutturato?
Daniele Marini: Non si trattava di un vero e proprio corso di laurea, ma solo di un orientamento nell’ambito della laurea triennale in Comunicazione Digitale della classe delle lauree in informatica.
L’orientamento poteva essere scelto dallo studente seguendo nel piano di studi alcuni esami opzionali, e in particolare: Game Design, Psicologia Cognitiva, Tecniche di Rendering in tempo reale. Questo almeno in una fase iniziale; originariamente c’era l’intenzione di estendere gli esami orientati a questo tema.
Il corso è stato sospeso per svariate ragioni: difficoltà a trovare docenti esperti in gaming in Italia, scarso interesse da parte degli studenti e soprattutto abbiamo verificato che per poter svolgere con efficacia questo tipo di studi occorre una preparazione molto approfondita in informatica che non si riesce ad ottenere in un corso triennale.
PI: L’Italia rimane un decennio indietro agli Stati Uniti, dove ci sono dozzine di Corsi di Laurea tematici. A che cosa pensa sia dovuto il gap? Ci sono segnali positivi qui da noi?
DM: L’Italia è indietro rispetto a molti altri Paesi non tanto sulla formazione quanto sulla presenza di imprese significative in questo campo. Le poche aziende italiane che sviluppano (o per lo più “localizzano”) videogiochi non hanno così rilevanti esigenze di sviluppatori e progettisti.
Molte piccole iniziative propongono giochi su web per i quali la preparazione di un informatico medio è più che sufficiente. Quindi se non c’è impresa non c’è domanda e studenti e famiglie questo lo colgono con chiarezza.
PI: Che cosa consiglierebbe ad uno studente neodiplomato che voglia diventare un Game Designer? Deve scegliere forzatamente gli Stati Uniti o ci sono esperienze accademiche importanti anche in Italia?
DM: Come in moltissimi campi non è necessaria una formazione specifica per svolgere un lavoro che appassiona: la passione spinge ad apprendere in modo autonomo sia sui libri sia dall’esperienza. La figura di Game Designer non è l’unica figura che contribuisce nella creazione di un videogioco: ci sono innumerevoli ruoli legati alla programmazione (non solo grafica, si pensi ai motori di intelligenza artificiale, ai motori fisici ecc.), al testing e debugging ecc. Quindi una buona formazione informatica è già un’ottima base di partenza, e su questo in Italia ci sono innumerevoli sedi universitarie di buona e ottima qualità.
Se un giovane è seriamente interessato al design vero e proprio del gioco allora non so quale scuola italiana consigliare, salvo un approccio meno tecnico e più progettuale che si può sviluppare a partire dai corsi di laurea in Architettura o Design Industriale.
PI: Quali sono i corsi di laurea che, secondo lei, sono più vicini alla formazione di uno sviluppatore di contenuti multimediali e/o videogame?
DM: Occorre chiarire cosa si intende per sviluppo di contenuti multimediali. Ci sono tre punti di vista fondamentali: il punto di vista tecnologico, quello progettuale-comunicativo, e quello redazionale-critico.
Per quanto riguarda il redazionale-critico la formazione migliore proviene dalle lauree in Scienze della Comunicazione delle Facoltà umanistiche attive in molte sedi universitarie. Il compito di chi sviluppa contenuti dal punto di vista editoriale richiede competenze critico letterarie (per semplificare: giornalista).
Per il punto di vista progettuale-comunicativo occorre sviluppare competenze di design della comunicazione, con attenzione soprattutto ad aspetti grafico visivi; la formazione migliore proviene dalle scuole di design e design industriale di molte facoltà di architettura.
Infine il punto di vista tecnologico richiede una formazione da informatico o da ingegnere informatico con particolari conoscenze e capacità nel campo del trattamento dell’informazione grafica e acustica e dei dispositivi e tecniche per trattare immagini e suono digitale. Esistono molti corsi di laurea che offrono queste conoscenze, a Milano in particolare c’è il corso di laurea in Comunicazione Digitale.
PI: Che cosa crede sia necessario per lavorare nel settore dei videogame e cosa si sente di consigliare a chi decide di proseguire da autodidatta senza passare per l’università?
DM: Entusiasmo e passione, senza riserve mentali, disponibilità a trasferirsi all’estero, disponibilità a lavorare 10-12 ore al giorno, un po’ di “fortuna” (che non vuol dire casualità, ma attenzione e capacità di accorgersi di una buona occasione che ci si presenta). Non guasta una buona cultura di base di livello liceale: non dimentichiamo che i videogiochi agiscono su livello profondi della psiche umana e una non piccola sensibilità sarebbe una dote indispensabile.
Nelle prossime settimane, Punto Informatico approfondirà ulteriormente l’argomento riportando le possibilità lavorative offerte dal territorio italiano e raccogliendo le testimonianze di chi fa di questo settore il proprio lavoro. Qualsiasi segnalazione su corsi, aziende, team di sviluppo, università più sensibili a questo tema sono graditissime.
Enrico “Fr4nk” Giancipoli