Sono gli elementi base dell’aritmetica, i mattoncini primordiali con cui si può costruire ogni altra cifra. La loro definizione è di una semplicità disarmante: “i numeri primi sono quelli divisibili soltanto per se stessi e per 1”. Eppure rappresentano da sempre uno degli enigmi più affascinanti della scienza: c’è un ordine prevedibile in questa serie di cifre, ossia una qualche forma di regola che permetta di determinare, ad esempio, quale sarà il milionesimo numero primo?
In altre parole, non è chiaro se siano distribuiti in maniera completamente casuale o se, al contrario, la loro presenza dipenda da qualche legge tuttora sconosciuta. A cercare di dare una risposta a questa domanda, due matematici della Stanford University. In uno studio pubblicato su arXiv , sito che ospita articoli scientifici prima che vengano divulgati su riviste sottoposte al processo di revisione, Robert Lemke Oliver e Kannan Soundararajan svelano di aver scoperto alcune “regolarità inattese” in questa distribuzione numerica, un comportamento denominato dai due studiosi anti-sameness bias . Una scoperta che potrebbe avere implicazione importanti, non solo per la matematica ma anche in altri ambiti che vanno dalla fisica quantistica alla sicurezza informatica . In quest’ultimo caso, potrebbe modificare molte delle nostre abitudini, visto che i numeri primi sono utilizzati negli algoritmi di crittografia che proteggono le transazioni economiche, oppure l’accesso alla gestione online dei conti correnti, o nella generazione di sequenze di cifre casuali.
Robert Lemke Oliver e Kannan Soundararajan della Stanford University sono gli autori del recente studio sui numeri primi
Solitari ma non troppo
L’importanza di questa serie numerica è data dal fatto che ogni altro numero naturale può essere “costruito” moltiplicando tra loro due o più numeri primi. Il numero 10, ad esempio, si ottiene dal prodotto dei numeri primi 2 e 5. Fino a oggi, i matematici non hanno mai trovato uno schema di ricorrenza nella loro distribuzione. In sostanza, non è possibile stabilire a priori se un numero dispari, che non termini per 5, sia primo o meno in base alla sua posizione, data dal valore del numero stesso. In termini più rigorosi, un numero naturale, maggiore di 1, si dice primo se è divisibile solo per se stesso e per l’unità . Ad esempio, sono primi il 2 (unico numero pari), il 3, il 5 e il 7 e così via. Il 6 non lo è, poiché divisibile per 2 e per 3, il 9 nemmeno, poiché divisibile per 3. In generale, a parte il 2, nessun numero pari è primo, poiché divisibile per 2. Tra i dispari, invece, non possono esserlo quelli che non finiscono per 5, questi ultimi sempre divisibili per 5. I numeri primi, dunque, devono necessariamente essere dispari e possono terminare solo per 1, 3, 7, 9, ma non per 5 altrimenti sarebbero divisibili per 5. Altra considerazione da fare è che man mano che si considerano cifre più grandi, i numeri primi diventano sempre più rari. Ad esempio, tra 0 e 10 ve ne sono 4, ovvero il 40 per cento. Tra 0 e 100 se ne trovano 25, ovvero il 25 per cento. Tra 0 e 10 miliardi ce ne sono poco più di 455 milioni, ovvero circa il 4,6 per cento.
Casuali, ma non troppo
Nello studio, i matematici di Stanford hanno analizzato il primo miliardo di numeri primi focalizzando la propria attenzione sull’ultima cifra di quelli consecutivi (ad esempio il 7 di 167 e il 3 di 173). Il loro ragionamento è di tipo statistico: se la distribuzione fosse davvero casuale, un quarto delle volte (25 per cento dei casi) un numero primo che termina con la cifra 1 dovrebbe essere seguito da un altro primo che termina con la stessa cifra, un quarto da uno che termina per 3, un quarto da uno che termina per 7 ed un quarto da uno che termina per 9. Oliver e Soundararajan hanno tuttavia osservato che, nel primo miliardo di numeri primi, solo nel 18 per cento dei casi uno di questi che termina per 1 è seguito da un altro che finisce per lo stesso numero, rispetto al 25 per cento di una sequenza realmente casuale. Il 30 per cento delle volte è seguito da uno che termina per 3 o per 7, mentre 22 volte su cento è seguito da uno che termina per 9. Lo stesso comportamento si verifica osservando la successione dei numeri primi che terminano per 3, 7 e 9.
Possibili ripercussioni
La scoperta dei due matematici, già importante di per sé, lo sarebbe ancora di più nel caso fosse vera la cosiddetta “congettura k-tupla” di Hardy-Littlewood, un teorema sui numeri ritenuto valido dalla maggior parte della comunità scientifica, per la forte evidenza, anche se ancora non dimostrato. La congettura recita: “Esistono infiniti numeri primi p tali che anche p + 2 sia un numero primo”. In sostanza, la congettura afferma che esistono infinite coppie di numeri primi tali che il numero più grande si ottiene sommando 2 a quello più piccolo. Tra le coppie p e p+2 dei numeri piccoli, questa evidenza è forte: 3-5, 5-7, 11-13, 17-19, 29-31 ecc. Più difficile riscontrarla nei numeri molto grandi, per i quali è necessario determinare se si tratti o meno di numeri primi. Qualora l’ipotesi di Hardy- Littlewood venisse dimostrata, le osservazioni dei due matematici della Stanford University varrebbero per tutti i numeri primi, e non solo per il primo miliardo che gli studiosi hanno analizzato . Ad ogni modo, la corsa per la verifica di quanto scoperto dai ricercatori vede già numerosi matematici impegnati. La scoperta di una possibile relazione tra i numeri primi, infatti, modificherebbe radicalmente il loro impiego nell’uso degli algoritmi crittografici, consentendo l’uso di numeri primi molto grandi attualmente reso impossibile dall’enorme onere computazionale, sia in termini di tempo che di potenza di calcolo, richiesto per la loro determinazione. In questo contesto i benefici sono importanti: ottenere chiavi crittografiche inviolabili.
Il più grande numero primo conosciuto
Scoperto a settembre 2015 da un matematico statunitense, Curtis Cooper, con l’aiuto del suo team di ricercatori della University of Central Missouri, l’attuale numero primo più grande (2 elevato a 74.207.281 -1) è composto da 22.338.618 cifre. Per stamparlo occorrerebbero oltre 5mila fogli di carta. Quello individuato da Cooper fa parte della famiglia dei numeri primi di Marsenne , formulati nel ‘600 dal monaco francese Martin Marsenne. Tali numeri primi sono espressi dalla formula 2P-1, nella quale l’esponente P è a sua volta un numero primo. In sostanza, si calcola la potenza P-esima di 2 e si toglie 1 al risultato. Finora ne sono stati scoperti solo 49, poiché occorre verificare che siano effettivamente “primi”. Per farlo, Cooper e il suo team hanno utilizzato un sistema per il calcolo distribuito, il Great Internet Mersenne Prime Search ( GIMPS ), una rete simile a quella del progetto SETI@Home. Il numero di Cooper supera di quasi 5 milioni di cifre l’ex record, ottenuto nel 2013 dallo stesso team.
La verifica, semplice per i primi numeri primi (2, 3, 5, 7, 11, 17…), diventa sempre più complessa man mano che i numeri si fanno più grandi. La capacità di calcolo umana è rapidamente superata e si ricorre al calcolo computazione. Con GIMPS, infatti, Cooper e il suo team hanno avuto a disposizione un supercomputer “virtuale” in grado di compiere 450 trilioni di operazioni al secondo (450 miliardi di miliardi). Il processo consiste nel dividere progressivamente il numero per numeri primi sempre meno piccoli. Esaurite le possibilità si è certi che il numero in questione è primo. Dal punto di vista informatico, questo processo è inefficiente. Il lavoro dei matematici consiste nel realizzare algoritmi più complessi che consentano di impiegare nel calcolo un basso numero di divisori.
Lo statunitense Curtis Cooper ha individuato l’attuale numero primo più grande
Come calcolarli manualmente
Il modo più semplice, e anche il più antico, per determinare la successione dei numeri primi è ricorrere al cosiddetto “crivello di Eratostene” , che prende il nome dal suo ideatore, il matematico di Cirene vissuto dal 275 al 195 avanti Cristo. Per la sua semplicità è attualmente usato in numerosi software per la generazione di numeri primi, in quanto l’algoritmo è facilmente implementabile anche se poco efficiente in termini di prestazioni. Per determinare i numeri primi fino ad una certa cifra (ad esempio 80), partendo dal 2, si scrivono tutti i numeri in una tabella denominata setaccio (crivello). Ciascuna riga del setaccio termina con l’ultimo numero della decina (10, 20, 30 ecc.). Si prende il primo numero del setaccio (2) e se ne cancellano tutti i multipli presenti nel crivello, escluso se stesso. Si passa quindi al numero successivo (3), ripetendo l’operazione valutando sempre il primo numero rimasto che segue quello prima considerato. Quando non rimangono più numeri disponibili l’operazione è conclusa. Fino ad 80, il procedimento di setaccio si conclude con il numero 7, ovvero il massimo quadrato che non supera 80 (11 elevato a 2, ossia 121). I numeri usati nel setaccio e quelli che restano dopo le varie cancellazioni sono tutti numeri primi.
È facile comprendere che raggiunto un certo livello la complessità diventa tale da rendere necessario il ricorso a strumenti di calcolo alternativi, quali il calcolo distribuito.
Il crivello di Eratostene è un antico procedimento per il calcolo delle tabelle di numeri primi
Thomas Zaffino