Massimizzare la circolazione gratuita come mezzo per massimizzare le entrate monetarie. È questa la sfida che sta dietro a Open Platform , il nuovo progetto di distribuzione editoriale appena intrapreso dal Guardian . Il sistema offre a tutti la possibilità di riusare gratuitamente i contenuti generati dalla redazione, in cambio dell’impegno a veicolare le inserzioni pubblicitarie del quotidiano. Che sia un modello di business praticabile per i giornali?
OpenPlatform nasce da un’idea semplice, e neppure del tutto nuova: la condivisione delle Application Programming Interface . Il Guardian , si legge sulla pagina di presentazione del progetto, mette a disposizione di tutti le API relative ai contenuti editoriali ed i dataset prodotti fin dal 1999. E questo, dall’altra parte “rende possibile per i nostri partner costruire applicazioni nuove insieme al Guardian . Abbiamo aperto la nostra piattaforma perché chiunque possa beneficiare dei nostri articoli, del nostro marchio, e delle tecnologie che impieghiamo”.
L’auspicio del giornale londinese, spiega Cnet , è semplice. Attraverso la messa a disposizione delle API aumenta il numero di sviluppatori terzi che mette in circolazione i contenuti “Made in Guardian” per la creazione di applicazioni nuove, e questo porta i quattro angoli della rete a popolarsi di mash-up che riusano video, articoli, immagini del giornale.
Guardata con gli occhi della tradizione, l’operazione somiglia di più ad una perdita di controllo sui propri materiali che ad un successo commerciale. I contenuti volano via – ed anzi si diffondono in modo virale – senza che il giornale ne ricavi alcunché. Ma al Guardian la pensano in modo completamente diverso e forse, argomenta Mashable , non hanno tutti i torti: ogni volta che scelgono di impiegare un materiale proveniente dai database Guardian , gli sviluppatori si impegnano contestualmente a veicolare sul proprio sito le inserzioni pubblicitarie controllate dal giornale. Ragion per cui la diffusione “virale” dei mash-up si risolve in un beneficio (e non un danno) per l’editore.
Si chiariscono meglio in questa luce le dichiarazioni rilasciate al redattore dello stesso Guardian da Matt McAlister, responsabile del Developer Network del giornale: “Noi desideriamo ardentemente che i nostri partner usino i contenuti del Guardian ai quattro angoli della rete. Vogliamo che si approprino dei nostri materiali e che abbiano successo in ragione della partnership con noi. Queste alleanze sono strategiche per la strategia open di medio termine del gruppo Guardian News & Media “.
In passato, la strada della diffusione delle API era già stata battuta da diversi gruppi tra cui la BBC (“Backstage”, estate 2005), la statunitense National Public Radio , e lo stesso New York Times . Tuttavia, argomenta Jeff Jarvis sul suo blog, il Guardian aggiunge a tutte le esperienze precedenti un ingrediente assolutamente decisivo: il modello di business .
Mentre i sistemi messi in piedi dalla BBC e dallo stesso NYT erano rivolti esclusivamente al riuso da parte di singoli, non contemplando impieghi for profit, il Guardian prevede (ed anzi auspica) il riuso a fini commerciali, in modo che sia più grande l’advertising network costruito intorno ai suoi prodotti.
Ancora Jarvis: “Adesso le API portano la distribuzione al suo limite fisiologico – un limite peraltro oscuro e talvolta spaventoso. Adesso posso costruire un’applicazione sulle news. La parte spaventosa è che perdo il controllo diretto sulla esposizione, il branding, la raccolta di dati e di denaro intorno alla news. Ma è proprio per questo che il Guardian sta cercando di aggiungere un modello di advertising originale al sistema. Vuole che i suoi contenuti siano usati in ogni parte del web. E questa è la distribuzione di domani”.
Gli osservatori sono piuttosto cauti rispetto agli esiti effettivi che il progetto potrebbe avere. È troppo presto per formulare un giudizio, si legge ad esempio su Mashable , e le valutazioni andranno fatte a bocce ferme. Gli addetti ai lavori, però, sono concordi nel lodare la lungimiranza e l’ambizione del progetto. “In effetti – si legge su Nieman Journalism Lab questo aspetto dell’offerta di API potrebbe creare possibilità di mercato del tutto nuove per l’azienda, usando i content provider e i service provider come metodo di distribuzione.
Le sperimentazioni del Guardian arrivano in un periodo particolarmente critico per i giornali di tutto il mondo. Pressati dalla crisi economica e dalla caduta nel numero di lettori, quotidiani e periodici esperiscono difficoltà economiche senza precedenti, e sono molti quelli che rischiano la chiusura. Solo pochi giorni fa, il Time ha fatto una lista 10 prossimi giornali che potrebbero sospendere le pubblicazioni (almeno quelle cartacee), ed anche le testate più prestigiose faticano a trovare la “terza via” tra distribuzione gratuita ed a pagamento.
Giovanni Arata