Avrebbe dovuto rappresentare il veicolo con cui informatizzare l’India tutta, avrebbe dovuto infondere nelle aree rurali del subcontinente la cultura digitale. Sarebbe dovuto costare 500 rupie, meno di 8 euro. Ne costa 1.500, ed è un semplice hard disk.
Le promesse sbandierate dal governo indiano si sono infrante nella presentazione di Sakshat , quello che avrebbe dovuto essere un laptop da 10 dollari: la panacea del digital divide si incarna però in uno scatolotto da 25 x 12 centimetri.
Il mistero aleggia intorno alle componenti che dovrebbero animare il device: nei giorni scorsi si mormorava di 2 Gigabyte di RAM, di connettività WiFi ed Ethernet. Nel corso della presentazione le autorità hanno aggirato le domande più insinuanti, ma sembra essere emerso con nitidezza che non si tratti di un vero e proprio computer , nemmeno di un dispositivo ultraportatile. Le speculazioni si affollano: potrebbe trattarsi di un reader per ebook, potrebbe trattarsi di un accessorio da collegare alla TV.
L’ipotesi più accreditata è quella che identifica Sakshat con un semplice hard disk portatile , zeppo di dati a cui gli studenti del paese potranno attingere solo se in possesso di un vero e proprio computer o di una stampante. Non è possibile cavare molto di più da 1500 rupie, nonostante Sakshat sia stato sviluppato attingendo a risorse fornite dallo stato e all’operato di giovani menti non stipendiate impiegate nel quadro di un progetto universitario.
Il ministro dello sviluppo delle risorse umane indiano Arjun Singh non ha però rinunciato a tessere le lodi di Sakshat. “Se il prezzo della connettività si abbasserà – ha annunciato il Ministro – il dispositivo farà cose meravigliose”. L’attenzione delle autorità non sembra concentrarsi sul device in sé ma sulle risorse che contiene . Le 1.500 rupie scarse con cui gli studenti indiani potranno accaparrarsi Sakshat si aggirano intorno al prezzo di un anno di sussidi didattici.
Gaia Bottà