Il primo ad essere estradato negli Stati Uniti per violazioni della proprietà intellettuale, Hew “Bandido” Griffiths, inglese di nascita e cittadino australiano di adozione, affronterà nei prossimi giorni il processo dovuto al suo pallino per il warez al cospetto di un giudice americano.
Dopo il patteggiamento , dopo essersi dichiarato colpevole, rischia solo metà della pena prevista: cinque anni di carcere e una multa da capogiro, 250mila dollari da corrispondere allo stato americano, sul cui suolo non ha mai posto prima i suoi piedi.
Griffiths era stato arrestato per la sua militanza ai vertici di DrinkOrDie , celeberrimo network warez nato in Russia negli anni Novanta, che vantava con orgoglio release eccellenti, come quella di un Windows 95 crackato e diffuso prima del lancio ufficiale sul mercato. L’organizzazione, sgominata dalle forze dell’ordine USA, si occupava di distribuire gratuitamente contenuti pirata e software proprietario crackato, senza trarre profitto alcuno, se non una fama mondiale da Robin Hood del codice. Cinquanta milioni di dollari, i danni stimati dall’industria dei contenuti .
Parcheggiato dal 2003 in un carcere australiano nello strenuo tentativo di opporsi all’estradizione, a Griffiths è stato negato il rilascio su cauzione, e ogni tentativo di appello si è rivelato vano. Un trattamento anomalo, più severo rispetto a quello riservato agli altri arrestati della sua crew, una situazione che sembra voler far assurgere il suo caso ad exemplum deterrente, e che fa gridare Griffiths alla cospirazione.
È il quotidiano australiano The Age a rilanciare alcuni estratti della lettera ottenuta da The Sun-Herald , missiva che Griffiths ha recentemente inviato al padre malato. Griffiths teme che gli anni scontati presso il carcere australiano non vengano tenuti in considerazione dal tribunale statunitense; paventa che, una volta scontata la pena comminata negli USA, non gli sia consentito di rimpatriare in Australia poiché sprovvisto di passaporto, e venga così rispedito nel Regno Unito, dove ha vissuto fino all’età di sette anni. A testimoniare l’anomalia del suo trattamento da capro espiatorio, aveva dichiarato inoltre Griffiths, c’è il fatto che l’estradizione fosse stata ventilata già durante l’irruzione delle forze dell’ordine nell’abitazione che condivideva col padre, requisendo materiale di cui non era ancora stato accertato il contenuto.
Per quanto ingiusto e inverosimile possa apparire a Griffiths, tutto questo è reso possibile da accordi bilaterali tra Australia e USA. Intese “sponsorizzate” dai potenti gruppi di pressione dell’industria dei contenuti, che prospera riservandosi diritti su quanto produce. In base a quanto stabilito nel Free Trade Agreement firmato dai due paesi nel 2004, l’industria dei contenuti statunitense può infatti rivendicare i suoi diritti violati in Australia, allungando i suoi tentacoli in ogni anfratto di un mondo digitale in cui i confini sembrano aver perso di significato.
Il caso Griffiths, prospetta Computerworld Australia , è il precedente che aprirà la strada alla perseguibilità senza frontiere per reati commessi nell’ambito della proprietà intellettuale. A testimoniare la rilevanza del caso, la menzione da parte del Procuratore Generale Alberto Gonzales , attivo sostenitore del gioco duro dell’industria dei contenuti. “Griffiths credeva di essere al di fuori della portata della legge USA”, ha sentenziato durante un discorso tenuto presso la Commissione Antipirateria della Camera di Commercio federale: “Ci sono voluti diversi anni e il duro lavoro di professionisti per dimostrare che, al pari di contraffattori e pirati, anche noi possiamo operare oltre i confini statali”. Un’affermazione che ha il sapore di una sfida e il retrogusto di una rivalsa. Griffiths conoscerà il verdetto il 22 giugno: in un tribunale della Virginia c’è un giudice che lo attende.
Gaia Bottà