Non era stato avvertito del fatto che sarebbe stato risucchiato in un vortice di quest, che la tensione verso la crescita del proprio personaggio l’avrebbe fatto precipitare in una spirale senza fondo, dalla quale i più basilari istinti non sarebbero sembrati che eco lontane. Ma ha trovato la forza per denunciare i publisher di Lineage II.
Craig Smallwood, cittadino hawaiano, si è rivolto a una corte federale statunitense: le accuse, brandite nei confronti della sudcoreana NCsoft, produttrice del MMORPG, sono state varie e pesanti. Dalla pubblicità ingannevole alla diffamazione, passando per la truffa, l’intenzionalità di infliggere angherie nei suoi confronti, la negligenza nel comunicare le possibili, rischiose implicazioni della partecipazione al gioco.
La prove che Smallwood ha portato a sostegno delle proprie accuse consistono nel suo vissuto di gamer online. Tra il 2004 e il 2005, ha spiegato alla corte, è avvenuta la sua iniziazione in Lineage II. Tre account a rappresentarlo nel metamondo, 20mila ore di gioco tra il 2004 e il 2009, accompagnate da “forti sensazioni di euforia e di soddisfazione”. In questo arco di tempo, ricorda Smallwood, un inspiegabile esilio motivato da un’altrettanto inspiegabile accusa di ordire un complesso meccanismo di transazioni contrario alle regole del gioco. Smallwood nega, e professa la propria dipendenza, progressivamente avviluppato dalle dinamiche del MMORPG.
Anche oggi, si spiega nel documento del tribunale, “continua ad avvertire la necessità e l’impellenza di giocare a Lineage II”, il tutto “senza aver mai ricevuto alcun avvertimento, notifica, consiglio da parte della difesa riguardo al pericolo della dipendenza dalla partecipazione a Lineage II”. Il tutto sarebbe risultato delle opere e delle omissioni di NCsoft: Smallwood “ha sofferto di estremi e gravi malesseri per quanto attiene la sfera emozionale, ha sofferto di depressione, è stato incapace di vivere in maniera indipendente, ha accusato traumi psicologici, è stato ricoverato e tuttora necessita di trattamenti e terapie tre volte alla settimana”.
Il tutto si sarebbe potuto evitare, denuncia l’uomo: non avrebbe “comprato e giocato a Lineage II se fosse stato consapevole del fatto che questo l’avrebbe esposto a disonestà e a mancanza di chiarezza” o se avesse saputo che poi “sarebbe diventato dipendente dal gioco”.
La corte che sta esaminando il caso ha vagliato le richieste, ha sfrondato le accuse, ha stabilito che il contenzioso può procedere. Anche se la questione della relazione tra videogiochi e dipendenza è ben lontana dall’essere definita, la corte si dovrà pronunciare per decidere se NCsoft abbia commesso una leggerezza nel non avvertire i player dei pericoli a cui la passione per un MMORPG può esporre.
Gaia Bottà