New York (USA) – George W. Bush, a dicembre, aveva ammesso pubblicamente di aver autorizzato la National Security Agency ( NSA ) a tenere sotto controllo le comunicazioni di migliaia di cittadini: adesso però l’Esecutivo si ritrova nell’angolo. La guardia ormai è bassa, e giorno dopo giorno gragnuole di montanti provenienti da politici , organizzazioni per la privacy e aziende vanno a bersaglio come mai in passato. L’ultimo colpo è stato assestato dal The New York Times , che ha citato a giudizio lo U.S. Defense Department per ottenere tutti i documenti riguardanti il programma di spionaggio interno attuato dalla NSA. Un’azione in piena legalità, coperta dal Freedom of Information Act ( FOIA ): la legge sulla libertà di informazione emanata nel lontano 1966 da Lyndon B. Johnson.
La sua impugnazione era già avvenuta a dicembre, e il Pentagono aveva confermato che il tutto sarebbe stato “preparato e consegnato al più presto”. David McCraw, consulente legale del Times, sebbene abbia confermato che la lista dei documenti richiesti è piuttosto lunga, si è dichiarato insoddisfatto del comportamento del Pentagono, responsabile – a suo dire – di volere ritardare il più possibile la consegna . La questione, però, si è complicata ulteriormente quando lo stesso Bush ha “costretto” lo U.S. Justice Department ad avviare un’indagine nei confronti della testata statunitense, colpevole – a suo dire – di “aver agito in modo scandaloso” pubblicando le indiscrezioni riguardanti NSA.
McCraw ha dichiarato che non vi è alcuna connessione fra l’indagine del Justice Department e la loro denuncia, ma alcuni osservatori sono convinti che si tratti invece di azioni di “contrasto”. “Questo è un fatto importante che i nostri reporter stanno continuando a seguire nel rispetto del Freedom of Information Act”, ha aggiunto McCraw.
Lo U.S. Foreign Intelligence Surveillance Act ( FISA ) è piuttosto preciso al riguardo delle operazioni di sorveglianza eseguite all’interno dei confini statunitensi: ogni ente federale per la sua operatività ha bisogno dell’approvazione di una Corte speciale. L’Amministrazione Bush ha reagito dichiarando che il presidente è il comandate in capo delle forze armate e quindi può autorizzare ogni tipo di intercettazione. Una “diretta” conseguenza, insomma, della carta bianca rilasciata a Bush, dal Senato, nel dopo 11 settembre 2001.
Tutto questo, però, inizia a non essere più gradito neanche fra le file repubblicane. Il senatore Arlen Specter, dopo l’ audizione del procuratore Alberto Gonzales sulla NSA, aveva ribadito l’esigenza di fare ulteriore chiarezza sul caso e rimettere mano all’attuale legge sulla sorveglianza.
Questa settimana si sono uniti alla protesta anche i democratici, con il senatore Patrick Leahy. In qualità di aderente al Judiciary Committee, che si sta occupando della questione, ha dichiarato che apparentemente la Casa Bianca “sembra essere convinta che non vi sia bisogno di una supervisione congressuale o giudiziaria delle sue attività riguardanti la sicurezza nazionale”. “Stanno calpestando senza remore la Costituzione, e si stanno nascondendo dietro la sola retorica. Per questo motivo il Judiciary Committee sta pensando di richiedere una subpoena per ottenere tutte le informazioni di merito”, ha dichiarato Leahy.
Secondo il direttore della CIA, James Woolsey, le controversie sarebbero state generate dalla legge FISA, ormai considerata troppo vecchia per stare al passo con la tecnologia a disposizione. “Lo sviluppo ci ha fornito Internet e i cellulari, che ovviamente vengono utilizzati anche dai terroristi. Sistemi in pratica non previsti dai legislatori della FISA”, ha dichiarato Woolsey.
Dario d’Elia