Chiamata di arruolamento volontario dello Zio Sam per gli hacker che passano il loro tempo alla tastiera e surfano la rete nelle notti passate alla luce dello schermo. “Questo edificio verrà attaccato 3 milioni di volte oggi” annuncia un video, con protagonista il Pentagono, che ora circola sul network di YouTube. “Chi lo proteggerà oggi?”, continua la clip presentando lo staff responsabile dell’ Air Force Cyber Command , il nucleo preposto alla salvaguardia della Rete USA dalle minacce provenienti da Internet. Un’organizzazione che ora più che mai ha bisogno di aiuto e forze fresche , meglio se pescate in quel vasto bacino di techie che sulle vulnerabilità dei sistemi ne sanno sicuramente qualcuna in più di certi professionisti governativi.
Il video fa parte di una campagna pubblicitaria a tappeto, condotta dal Pentagono sul web, sulla carta stampata e in TV, su qualunque mezzo possa servire per raggiungere la potenziale audience del messaggio. E il messaggio, come ha avuto modo di rimarcare anche il plenipotenziario della homeland security alla RSA Conference con la presentazione del nuovo Manhattan Project digitale , è che il network statunitense è divenuto un bersaglio ghiotto per tutte le potenze straniere , intenzionate ora più che mai a gettare scompiglio negli USA con le armi del cyber warfare .
Scompiglio come quello provocato dalla presunta incursione di agenti cinesi nelle maglie telematiche del Pentagono, ad esempio. Una minaccia calcolata in crescita esponenziale : secondo un rapporto del controspionaggio datato 2006, sarebbero 108 i paesi coinvolti in “sforzi contro tecnologie USA sensibili e protette”, un numero notevole in confronto ai soli 37 identificati nel 1997. In cima alla lista dei nemici digitali degli Stati Uniti vi si trovano Cina e Russia, sebbene entrambi i paesi respingano le accuse al mittente e anzi dichiarino di essere a loro volta vittime di attacchi organizzati da potenze esterne.
Il problema, nel caso del cyber warfare, è la necessità di attirare l’attenzione dei potenziali soldati della nuova guerra sul TCP/IP: “Come riesci a entrare nell’intelletto di un tipo completamente diverso di guerriero della Air Force?” si chiede a tale riguardo il generale William T. Lord, responsabile appunto del segmento delle forze aeree che si occupano di cyber war . Lord è convinto che gli hacker-smanettoni vadano “cacciati” e incontrati nel loro habitat naturale , e proprio per questo il generale ha già partecipato a un forum tenuto sul celebre sito di “news for nerds” Slashdot .
Le mutate esigenze della guerra globale, che mette al centro anche attacchi DDoS e il deployment di backdoor attraverso falle di sistema ignote, impone che si arruolino anche “soldati” che verosimilmente non passerebbero i test di training fisico per entrare nell’esercito . “Sono convinto che persino il candidato più improbabile, quando lavora per una causa più grande di lui, si dimostra essere l’alleato più fedele” dice il generale.
Tutto si tiene contro il pericolo crescente delle nuove “armi di scompiglio di massa”, come vengono definiti da insider del Pentagono gli attacchi di hacker al soldo dei governi stranieri. Anche se negli stessi ambienti USA c’è chi non la pensa come il generale Lord : “C’erano elementi della Air Force che non credevano io dovessi coinvolgere quelli di Slashdot”, dice il militare, perché sul forum non c’è lo stesso tipo di soldati “con cui sono cresciuto quando marciavi al mattino verso la colazione. Questo è un tipo diverso di assemblea”.
Alfonso Maruccia