In occasione del 25esimo anniversario del DNA fingerprinting e in attesa dell’istituzione della banca dati nazionale italiana del DNA , si riaccende il dibattito sulla tecnica che contrappone bisogni di privacy e sicurezza.
Sir Alec Jeffreys, padre della scoperta “casuale”, ha colto l’occasione dell’anniversario per chiedere una riforma della normativa sulla banca dati di DNA conservata dal governo britannico, che tanto fa discutere per modalità e estensione di utilizzo.
La tecnica di identificazione infatti, che solo lo scorso anno nel Regno Unito è servita per risolvere oltre 17 mila casi, tra cui 83 omicidi e 184 stupri, è sempre accompagnata da dibattiti e polemiche: questione di confini.
Oltre che per i reati più gravi è utilizzata per identificazioni, paternità (con questo utilizzo è stata anche protagonista di un discusso programma televisivo), ed è al centro della polemica per argomenti più controversi come il controllo dell’immigrazione e la frontiera della clonazione.
Quello che preme a Sir Jeffreys è innanzitutto che si permetta l’accesso alla ricerca accademica al database, affinché gli scienziati possano liberamente seguire la propria curiosità e le proprie intenzioni (fattori che l’hanno condotto a una delle scoperte più importanti del secolo), senza rimanere esclusivamente legati a logiche commerciali di risultati e programmi. L’innovazione è anche nella casualità .
Inoltre chiede un’urgente riforma della normativa britannica che regolamenta il database nazionale del DNA che, insieme al diffuso utilizzo della videosorveglianza , dimostra la scarsa sensibilità per la privacy , in questo caso genetica, dei propri cittadini da parte del governo del Regno Unito.
In particolare in Inghilterra e Galles vengono schedati i DNA di migliaia di persone che non sono state né accusate né condannate. E il DNA di quelli scagionati è mantenuto per 12 anni, 6 per i reati meno gravi.
Nei mesi scorsi, il “gruppo etico” costituito nel 2007 dall’home secretary per revisionare il sistema, ha bersagliato di accuse il database: sarebbe discriminatorio e avrebbe gravi mancanze. In particolare, secondo le ricerche effettuate, sarebbero ben 45 mila i bambini neri inglesi e gallesi, tra i 10 e i 17 anni, registrati. Un bambino su quattro, contro uno su dieci tra i bianchi. Simili le statistiche per gli adulti: il 37 per cento dei maschi neri sono registrati, mentre per i bianchi non si arriva al 10 per cento.
Molti dei profili, inoltre, sarebbero stati ottenuti illegalmente . Già la Corte europea dei Diritti dell’Uomo aveva condannato i mezzi adottati in Gran Bretagna. Ma le contromisure del governo tardano ad arrivare. E si attende adesso una modifica d’urgenza attraverso regolamenti.
Ad oggi sono cinque milioni i profili contenuti nel database nazionale, cresciuto in due anni del 40 per cento. In Italia si aspetta l’esordio del sistema di identificazione, per vedere come verrà utilizzato e come saranno raccolti i profili.
Claudio Tamburrino