Quando il team di HP Labs ha rivelato, nei mesi scorsi, di aver scoperto il modo di realizzare il memristore , il “quarto stato” fondamentale dei circuiti elettrici, il mondo dell’IT ha avuto un sussulto: il resistore in grado di modificare il proprio valore nominale al variare della corrente, per di più capace di ritenere quello stato anche quando si interrompe il circuito elettrico, permetterà di sviluppare circuiti integrati più efficienti, meno affamati di energia e più compatti. Quella promessa si è ora concretizzata , almeno in parte, grazie alla dimostrazione di HP di un circuito ibrido transistor-memristor .
Le ricerca sulle applicazioni e le implicazioni dell’uso del memristor sono ancora allo stato iniziale, avvisano i ricercatori, e in attesa di ottenere microchip e unità di memoria completamente basati sul nuovo componente la strada maestra da percorrere è proprio quella di un approccio ibrido .
Far rispettare la legge di Moore, che prevede il raddoppio del numero di transistor e quindi della potenza bruta in un CPU ogni due anni, diventa sempre più complicato: Stan Williams, ricercatore di HP, intende “dare una bella spinta” all’assunto formulato dal fondatore di Intel ma senza la necessità di “accorpare un maggior numero di transistor in un chip o un particolare circuito”.
“I chip ibridi memristor-transistor promettono davvero di fornire una performance superiore” sostiene Williams. Un singolo memristor è in grado di eseguire gli stessi compiti logici di più transistor , e sebbene si ipotizzi l’utilizzo del componente anche per creare memorie flash 5 o 6 volte più capienti di quelle attuali, i circuiti intelligenti delle CPU sono al momento il campo di applicazione più battuto dai ricercatori.
“Poiché i memristor sono fatti dello stesso materiale usato nei normali circuiti integrati” continua Williams, “è stato molto facile integrarli nei transistor”. I ricercatori HP hanno dunque realizzato un test-design di tipo FPGA (generalmente usato per mettere alla prova i circuiti integrati prima di entrare in produzione), impiegando un materiale semiconduttore composto da biossido di titanio e integrando un certo numero di memristori a fianco di una quantità di transistor molto inferiore a quella normalmente usata in un microchip.
Il task specifico per cui sono stati impiegati i memristori è quello dei circuiti e degli switch di configurazione all’interno del chip. Il risultato pratico di un simile approccio è la possibilità non solo di ottenere processori più potenti ed efficienti, ma anche (o, per meglio dire, soprattutto) una riduzione “significativa” dei costi di sviluppo dei circuiti integrati , dice Williams.
Quanto tempo occorrerà per vedere prodotti “memristor-powered” sul mercato? Tre anni , sostiene il ricercatore di HP, ma prima bisognerà superare il più grande impedimento pratico che attualmente la ricerca sui memristori deve affrontare: vale a dire il coinvolgimento di un numero molto maggiore di persone e aziende in grado di disegnare i circuiti elettronici integrandovi il nuovo componente.
Alfonso Maruccia