Il robopesce pattuglia i mari

Il robopesce pattuglia i mari

Un progetto sponsorizzato dalla UE per rilevare sostanze inquinanti in mare. Si muove come un grosso tonno, ma quando finisce la batteria lo devono "pescare" i ricercatori
Un progetto sponsorizzato dalla UE per rilevare sostanze inquinanti in mare. Si muove come un grosso tonno, ma quando finisce la batteria lo devono "pescare" i ricercatori

Pesci-robot per rilevare tracce di inquinamento nel mare. È quanto accade nelle acque antistanti il porto spagnolo di Gijon grazie al progetto SHOAL (voce inglese che significa banco di sabbia , secca ). Un progetto patrocinato dall’Unione Europea che coinvolge università, imprese marittime e autorità portuali della cittadina asturiana, le quali hanno posto le basi per la realizzazione di robot con connotati da pesce in grado di setacciare ampi tratti di mare aperto e di costa allo scopo di segnalare la presenza di zone inquinate.

Come spiega Luke Speller, scienziato dell’azienda tecnologica britannica BMT e coordinatore di SHOAL, “ogni singolo robopesce può individuare e riconoscere immediatamente il fattore che sta causando l’inquinamento”. Ciascun esemplare di robopesce è lungo circa un metro e mezzo, ha un involucro di plastica giallo con inserti bianchi che richiamano le pinne e la forma di un tonno. Al suo interno sono presenti numerosi sensori chimici in grado di rilevare tracce di piombo, rame e altri elementi potenzialmente inquinanti. Un particolare computer misura inoltre il grado di salinità dell’acqua.

Rispetto ai modelli tradizionali di robot dedicati, il pesce SHOAL è assai più mobile, grazie alla sua coda biforcuta che gli consente di girare anche in spazi più ristretti (cosa che con le eliche convenzionali sarebbe impossibile) e meno rumoroso. Il suo funzionamento è a batteria con autonomia di 8 ore. Al momento tocca ai ricercatori andare a recuperarli con le barche in caso smettano di funzionare in mare aperto, ma i responsabili del progetto stanno lavorando alla creazione di modelli sempre più perfezionati in grado di rientrare autonomamente alla base per ricaricarsi non appena il livello della batteria si abbassa. Il raggio d’azione copre 1 chilometro quadrato di acqua, fino a una profondità massima di 30 metri. Possono comunicare fra loro tramite brevi messaggi inviati su onde radio a bassissima frequenza, che non interferisce con le trasmissioni a terra.

Il monitoraggio tradizionale delle acque costiere si basa normalmente sul lavoro di sommozzatori che costano alla municipalità circa 100mila euro all’anno. Questi prelevano i campioni da diversi punti del tratto di mare antistante il porto, per poi inviarli ai laboratori per le analisi. I risultati arrivano dopo alcune settimane. I robopesci del progetto SHOAL, invece, monitorano costantemente le acque e i risultati dei loro rilevamenti, grazie ai sensori, vengono immediatamente trasmessi ai laboratori e alle autorità portuali.

“I robopesci sarebbero un’ottima soluzione per migliorare sensibilmente il monitoraggio dei mari a rischio inquinamento – dice Kristi Morgansen, ingegnere dell’Università di Washington – ma bisogna procedere con cautela perché ci sono ancora incertezze su quali siano i dati da trasmettere e su come debbano poi essere trattati”.

Naturalmente non si tratta dei primi modelli di robot a forma di pesce realizzati a tale scopo: enti prestigiosi come il MIT e aziende come Liquid Robotics avevano già messo a punto prodotti analoghi.

Cristiano Vaccarella

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Pubblicato il
31 mag 2012
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