Cattiva pubblicità per Sony, denunce e class-action a cascata, nonché la crescita di popolarità del fenomeno tra pubblico e cyber-criminali: gli strascichi dell’abuso da parte del colosso nipponico del rootkit (protezione nota come Extended Copy Protection ) integrato nel 2005 in alcuni CD audio non si sono ancora esauriti.
Del rootkit di Sony si continua ad esempio a parlare in Germania: nel caso specifico a essere coinvolto non è l’azienda giapponese bensì un rivenditore teutonico colpevole, secondo quanto sostenuto dagli avvocati di un lavoratore autonomo incappato nel malware, di aver venduto un prodotto difettoso che all’epoca causò danni per oltre un migliaio di euro.
Dopo aver acquistato un CD riconducibile alla starlet Anastacia, sostiene l’accusa, sul PC della vittima scattò l’antivirus, che avvertiva di una infezione da rootkit in corso. Le cose peggiorarono allorché l’uomo provò il CD su altri tre computer, spargendo ulteriormente l’infezione e soffrendo della perdita di dati importanti.
Per essere stato costretto a perdere tempo, denaro e profitti dietro allarmi antivirali, ripristinando i dati perduti e pagando le prestazioni professionali di un tecnico chiamato a ripulire il suo network privato, l’uomo ha presentato all’ignoto rivenditore un conto finale di ben 1.500 euro, chiedendo inoltre a quest’ultimo il pagamento delle spese processuali.
In conclusione della vicenda il giudice ha emesso una sentenza in favore dell’accusa, stabilendo che il CD messo in vendita era difettato – perché l’uomo avrebbe dovuto poterlo usare senza problemi sui suoi dispositivi elettronici – e la responsabilità di questo difetto era da ascrivere al rivenditore in oggetto. L’accusa ha vinto , ma invece dei 1.500 euro richiesti per i danni la cifra finale ammonta a 1.200 euro.
Alfonso Maruccia