Wei Lu, ingegnere informatico e ricercatore dell’Università del Michigan, dice di voler mandare in pensione gli algoritmi da supercomputer già usati da IBM per riprodurre il funzionamento del cervello di un gatto . Molto più adatti al compito, sostiene il professor Lu in uno studio in via di pubblicazione sulla rivista Nano Letters , sono quei memristori apprezzati per le loro tante qualità in funzione di sostituti dei microchip al silicio.
BlueMatter , la simulazione al supercomputer che è riuscita l’anno scorso a replicare i meccanismi interni della corteccia cerebrale del felino domestico più amato della storia dell’umanità, è un risultato impressionante ma rimane abbondantemente indietro in quanto a velocità di esecuzione rispetto alla materia grigia e pulsante del felino di cui sopra. Con i suoi 140mila processori è in grado di riconoscere un volto come un gatto, ma lo fa con una velocità 83 volte inferiore rispetto alla sua controparte organica.
Il problema, spiega il professor Lu, è che le moderne tecnologie informatiche basate sui transistor al silicio non sono adatte a replicare il funzionamento flessibile e la plasticità di un sistema neurale anche se (relativamente) semplice come quello appartenente al cervello di un gatto. Le sinapsi possono essere considerate alla stregua di elementi computazionali analogici , capaci di registrare le informazioni associate all’apprendimento quando i sensi (come la vista) registrano e inviano picchi di tensione elettrica simultanei attraverso i nervi .
I memristori rispondono a questo genere di “pulsazioni” elettriche allo stesso modo delle sinapsi biologiche, dice Lu, e impiegando network massivi di memristori sarebbe possibile simulare le funzioni cerebrali (certamente dei gatti ma non solo) molto più velocemente e in maniera economicamente conveniente rispetto a qualsiasi supercomputer di sorta.
“Stiamo costruendo un computer nello stesso modo in cui la natura costruisce un cervello”, dice il professor Lu nella sua ricerca. “L’idea è usare un paradigma completamente diverso rispetto ai computer convenzionali – continua ancora Lu – Il cervello del gatto rappresenta un obiettivo realistico perché è molto meno complesso di un cervello umano sebbene ancora estremamente difficile da replicare in complessità ed efficienza”.
Alfonso Maruccia