Quanti utenti lavorano collegati ad Internet tutto il giorno? Quanti hanno imparato come gestire al meglio il flusso di informazioni, di email, di messaggini? Quanti vivono con lo smartphone tatuato sulla guancia? C’è da chiederselo, visto che il tecnostress con l’accresciuta diffusione delle nuove tecnologie sembra destinato a farsi sentire sempre di più. Allo stesso tempo aumentano le imprese consapevoli del problema e decise a porvi rimedio. Di questo Punto Informatico ha parlato con uno dei pochi ad aver approfondito l’argomento, Enzo Di Frenna , nome già noto ai lettori di questo giornale perché è il motore dell’ormai celebre sito netdipendenza.it , agenzia di informazione dell’associazione Netdipendenza Onlus . Di Frenna, giornalista e scrittore, ha dato alle stampe un volume, in uscita in questi giorni, dal titolo emblematico: “Tecnostress in azienda”, che sarà presentato a Milano il 27 novembre all’evento MobilWorkLife Forum 2007 promosso da Asseprim e organizzato da Wireless. Il volume si focalizza sull’argomento a partire da una indagine condotta su un campione di 224 operatori ICT.
Punto Informatico: Per anni si è trattato con sufficienza chi metteva in guardia dall’uso non consapevole delle tecnologie della comunicazione, poi con la loro diffusione sui media, in particolare quelli mainstream, è stato dato sempre più spesso spazio a disagi, turbe o persino psicopatologie che deriverebbero da un uso intensivo dei mezzi digitali. Ma cos’è esattamente il tecnostress ?
Enzo Di Frenna: Il termine è stato coniato dallo psicologo americano Craig Broad, autore del libro Technostress: the uman cost of computer revolution (edito nel 1984 da Addison Wesley). Era la prima volta che si affrontava il tema dello stress derivante dall’uso di tecnologie e il suo impatto sul piano psicologico. Broad definì il tecnostress “un disturbo causato dall’incapacità di gestire le moderne tecnologie informatiche”.
PI: Travolti dalla tecnologia? Di che disturbo parliamo?
EDF: A suo parere i disturbi principali erano ansia, affaticamento mentale, attacchi di panico, depressione, incubi, attacchi di rabbia (dovuti in particolare alle difficoltà di utilizzo dei computer e dei software). Ma da allora, cioè dopo oltre 23 anni, molte cose sono cambiate. Internet è diventato lo strumento universale d’informazione. Il videotelefono-computer si è diffuso sul mercato. La tv è diventata digitale. E altri oggetti digitali sono diventati di uso comune. Quindi, come si può dedurre, il suo studio è vincolato al periodo in cui è stato realizzato, cioè gli inizi degli anni ’80, quando il computer aveva meno funzioni e il sistema operativo era molto elementare.
PI: Una delle tesi del tuo libro è quella secondo cui l’informatizzazione prima e oggi l’enorme diffusione della tecnologia può persino danneggiare le aziende
EDF: Non esistono studi articolati sul tecnostress e il rischio di impresa, il mio libro è il tentativo di compiere un primo approfondimento.
PI: A tuo parere quindi vi sono rischi reali per le imprese?
EDF: Assolutamente. E a dirlo sono gli stessi imprenditori che ho intervistato. Per esempio, Fabio Falzea di Microsoft ritiene che il tecnostress sia un problema assolutamente sottovalutato dalle aziende italiane. Cita l’esempio del corso di formazione per l’uso più oculato delle email, che Microsoft Italia tiene da alcuni anni. Inoltre, a settembre scorso ho intervistato 224 operatori di comunicazione mobile e Ict, durante l’evento Roma Caput Media , e la maggior parte avverte il problema del tecnostress in ambiente di lavoro e lo ritiene un problema in aumento nel futuro.
PI: Cosa si può fare per prevenirlo?
EDF: Una formazione mirata e innovativa. E soprattutto, come scrivo nel mio libro, bisogna comprendere i meccanismi di funzionamento della mente umana e l’impatto che il sovraccarico informativo può avere sulla salute.
PI: Ci sono colossi della tecnologia, come Google, noti nel Mondo anche perché offrono ai propri dipendenti una quantità di “benefit”, da strutture ludiche a palestre e via dicendo, pensate anche e soprattutto per una continua “rigenerazione”, persino in un ambiente ad alta “produttività tecnologica”, per così dire. Quali sono le soluzioni migliori?
EDF: Sul mio blog segnalo altri tipi di soluzioni, come la meditazione (che è molto usata nei corsi di stress management in America), l’attività sportiva, le pause rigeneranti, le tecniche olistiche in genere che rallentano i nostri pensieri. La mia associazione, Netdipendenza Onlus, per esempio propone passeggiate in montagna, giornate di meditazione, stage di danze tribali, cioè attività che favoriscono il contatto con se stessi e il recupero dei ritmi naturali.
PI: Le imprese italiane come recepiscono questi suggerimenti?
EDF: L’interesse degli operatori che abbiamo ascoltato è notevole, anche perché nella vita di tutti i giorni delle aziende sono proprio gli imprenditori, per primi, a rendersi conto della difficoltà di gestire una comunicazione a tutto tondo, che è da un lato fonte di un’accresciuta produttività e dall’altro portatrice di un rischio di eccesso di stress, tecnostress appunto. Gestire con equilibrio le due cose significa anche qui da noi poter di fatto aumentare la produttività. E questa non è questione che passa inosservata nell’industria.
a cura di Paolo De Andreis