Che si voglia accogliere per buona la versione di Google, che spazza via ogni dietrologia e consegna al pubblico un’azienda guidata ancora e sempre da un triumvirato, o che si voglia a tutti i costi leggere nel cambio di guida per la più importante entità del Web una lotta di potere tra CEO uscente e fondatori, è indubbio che il ritorno di Larry Page alla guida della sua azienda segna la fine di un’epoca . Un’epoca d’oro e di giovinezza per le aziende della bolla dot.com, e che ora lascia strada al business puro.
Quando Eric Schmidt venne chiamato a corte, nel 2001 (dieci anni fa!), il suo ruolo era palese: offrire alla coppia di fondatori, giovani ricercatori “incappati” in un affare planetario, quell’aura di autorevolezza e di affidabilità che la loro età rischiava di non garantire. Inevitabile ricordare come, all’inizio, Brin e Page non avessero ricevuto credito (sia economico che morale) per la loro iniziativa: il compito di Schmidt era (e forse resterà) quello di dare peso e credibilità all’impresa, entrare nelle stanze dove si negoziano gli accordi e far pesare i suoi innumerevoli anni di esperienza ai piani alti di SUN, Novell, Xerox, Bell Labs.
Sebbene sin dalla quotazione del 2004 sia stato chiarito che un triumvirato guida Google , Schmidt ha ricoperto il ruolo di zio saggio che consiglia i giovani nipoti intraprendenti: quello che mette a posto i numeri nei business plan, che suggerisce quando è il momento di rischiare e quando è il caso di stare a guardare, che offre una sponda robusta (e a volte anche controversa) alle aspirazioni molteplici e futuristiche di Larry e Sergey. Eric Schmidt non è l’uomo del cambiamento e dell’innovazione, è l’uomo della concretezza e della affidabilità: valori che sono stati fondamentali per trasformare Google da startup ad azienda (quotata, con profitto, a Wall Street).
Che qualcosa dovesse cambiare, comunque, si era intuito da un po’: da quando, tanto per citare un episodio, Schmidt rivelò che venne informato dell’acquisizione di Android a posteriori , quando Brin e Page avevano già fatto tutto. Difficile credere che il CEO di un’azienda possa essere tenuto all’oscuro di un’acquisizione così strategica (anche col senno di poi), ma è chiaro che col passare del tempo le diverse anime del triumvirato abbiano ricominciato a seguire le proprie aspirazioni.
Tra Brin e Page, il primo è sempre stato il più “ingegnere” della coppia, il secondo ha già ricoperto la carica di CEO agli albori e ha sempre cercato più dell’altro la poltrona del comando. Inevitabile, col passare degli anni, che le figure e le inclinazioni di ciascuno si rafforzino (o si induriscano, a seconda dei casi e delle interpretazioni): Brin ha voglia di fare ricerca e sviluppo , di andare dietro una sua personale visione e aspirazione del fare (costruire) il Web, Page vuole controllare più direttamente un impero planetario che si sta allargando e ramificando ben oltre quello che era inizialmente nei laboratori dell’Università di Stanford.
Eric Schmidt, dunque, era diventato un personaggio ingombrante : il suo passaggio a presidente esecutivo lo trasforma da colui che decide a colui che consiglia . Page sarà libero di stringere accordi, comprare, vendere e guidare l’azienda come meglio ritiene; Brin sarà libero di sperimentare servizi, funzioni, strumenti, aprirli e chiuderli come e quando vuole. Entrambi, quando ce ne sarà la necessità, potranno contare sull’esperienza e la presenza di Schmidt, senza dimenticare l’opportunità di sfruttare la sua persona per intrattenere rapporti istituzionali e con i media (senza contare eventuali piani di backup e successione, cosa che invece manca ad Apple per esempio).
Infine, c’è un altro particolare non da poco di cui tenere conto: la cultura emergente in Silicon Valley è una cultura che un tempo era patrimonio (quasi) esclusivo di Google, e che invece oggi sembra incarnata (quasi) esclusivamente da Facebook. È la cultura della startup , la cultura dell’azienda orizzontale, dell’innovazione sopra il business: se è vero, come si dice , che dentro Facebook qualunque ingegnere al lavoro sul codice abbia il potere di cambiare pezzi del social network senza consultare nessuno, è altrettanto vero che invece BigG negli ultimi tempi è sembrata sempre più “vecchia” e lenta rispetto alla concorrenza.
Per un Apple che lancia un iPhone e un iPad, per un Facebook che si impone nei social network, per un Twitter che cambia radicalmente il modo di comunicare e di rilevare i trend (e dunque le informazioni), per un Groupon che afferra saldamente l’advertising localizzato, i vari servizi offerti da Mountain View appaiono come “superati”: Gmail non è più cool come al lancio, Wave è morta e sepolta, di autentico social network dalle stanze del Googleplex non è uscito granché. Su cellulari, smartphone, sistemi operativi mobile, BigG ha dovuto rincorrere invece che proporre . La quadra sulla “ricerca in tempo reale” non è ancora stata trovata.
Eric Schmidt ha 55 anni. Larry Page di anni ne ha 37, così come Sergey Brin. Mark Zuckerberg ha 26 anni : la differenza generazionale si fa sentire, va di moda il giovane di belle speranze e con le idee chiare per costruire un percorso tecnologico più che di business. Allo stesso tempo, è inevitabile non cogliere come la scelta avvenga in un momento cruciale: trimestrale “stellare”, dunque la guida di Schmidt è stata più che adeguata, ma evidentemente c’era bisogno di un gesto eclatante per l’immagine più che per la sostanza . Quel gesto è la promozione di un founder a CEO, come a dire che chi ha creato il miracolo può ora rifare faville nella poltrona di comando : c’è da augurarsi, e a Mountain View faranno tutti gli scongiuri, che non succeda come quando alla guida di Yahoo! venne richiamato il suo fondatore Jerry Yang.
Luca Annunziata