Delle parole di Carlo Calenda si è detto di tutto, di più e forse troppo nelle ultime ore, ma è utile sottolineare ancora un aspetto: sono davvero parole di Carlo Calenda o non sono forse parole partorite da un più ampio, strisciante e profondo pregiudizio generazionale? Parte tutto da un tweet e da lì è giusto ripartire:
Fondamentale prendersi cura di ogni ragazzo: avvio alla lettura, lingue, sport, gioco. Salvarli dai giochi elettronici e dalla solitudine culturale e esistenziale. Così si rifondano le democrazie. https://t.co/2FwuG4jyUZ
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) November 3, 2018
Gran parte di questo messaggio è ampiamente condivisibile da chiunque, poiché tratteggia un approccio proattivo che qualsiasi genitore, autorità o persona responsabile dovrebbe adottare nei confronti dei più giovani: stimolo, avviamento, indirizzo. Ben venga la lettura, ben vengano le lingue, sia lodato lo sport, sia preservato il ruolo fondamentale del gioco nella prima costruzione degli equilibri sociali, nella definizione dei ruoli e nella capacità di comprendere e seguire le regole. Ma che non sia mai un video-gioco, attenzione: secondo Calenda, infatti, quando si tratta di educare i giovani occorre “salvarli dai giochi elettronici” e dalla “solitudine culturale ed esistenziale”. Affiancando questi due concetti in un’iperbole che scatena il caos (e che Calenda riafferma, pur smorzandone i toni, nel corso di un intero weekend di tweet).
Come sempre lo scontro sui social network si fa assoluto e polarizzante, ed è così che quel piccolo accenno ai videogiochi diventa fulcro totalizzante, elemento da “con me o contro di me” su cui è formattata l’intera discussione che ha preso il via su Twitter successivamente. Del resto su una piattaforma da 140 caratteri (ed evoluzioni successive) non ci si possono certo attendere lunghe analisi, lasciate alle testate che se ne sono nel frattempo occupate, e così Calenda si è posto al centro di un tiro infuocato che ha ampiamente dimostrato quanto le parole dell’ex-Ministro siano state esagerate, se non del tutto fuori luogo.
Vogliamo tuttavia provare a guardare la vicenda da un altro punto di vista e provare a schierarci con Calenda. Perché su molti aspetti ha ragione: occorre aiutare i giovani. Occorre preservarli dall’appiattimento culturale e dalla solitudine esistenziale. Bisogna offrire loro stimoli continui, multiformi, elementi utili a coltivare la curiosità. Calenda ha maledettamente ragione, perché sui giovani occorre investire. Ma anche con tutto l’impegno, non possiamo dare ragione a Calenda. È sufficiente infatti un altro tweet per capire che, anche con ogni sforzo possibile, Calenda abbia scritto tra le righe una convinzione ben più profonda e atavica:
Sarà forte ma io considero i giochi elettronici una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento. In casa mia non entrano. https://t.co/ZC74SNSFCq
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) November 3, 2018
Da questo tweet è chiaro come l’intero discorso sia frutto di un abnorme pregiudizio. Tutto l’impegnato discorso sulla necessità di aiutare i giovani si riduce ad una chiusura sui giochi elettronici come alla causa “dell’incapacità di leggere e sviluppare il ragionamento”. A giorni alterni si attribuisce questa colpa ai videogiochi o ai social network, senza mai un cenno alla tv. Chissà come mai. Il tutto peraltro con una chiusura impulsiva che sembra frutto di idee, linguaggio e politiche altrui: “in casa mia non entrano“.
Utenti di Twitter che ancora state cercando di convincere Calenda della povertà della sua idea, lasciate perdere. Non è lui che dovete convincere. Non è a lui che dovete raccontare che è sui giochi che avete iniziato a programmare; non è a lui che dovete spiegare che gli anni in cui avete giocato di più sono anche quelli in cui avete letto di più; non è a lui che dovete illustrare quanto possano essere stimolanti, quanto possano essere utili e quanto possano essere anche formativi; non perdete tempo a spiegargli che il videogioco non è necessariamente solitudine. Calenda è animato da buoni propositi, ma ha sbagliato direzione. Lasciate perdere, non sarà su Twitter che cambierete un’idea e non è certo a Carlo Calenda che dovete cambiarla. Perché quelle parole non sono di Carlo Calenda. Sono di un ventriloquo nascosto, una coscienza immanente, un’entità tanto invisibile quanto evidente.
Ed è la stessa entità che ha scritto il rapporto Auditel-Censis nel quale il modello televisivo è visto come l’ultimo baluardo del valore della famiglia. Quella è la voce che sta suggerendo. Ed è una voce generazionale, che viene da lontano, che sciorina sentenze sul passato e pone diktat al futuro. Una generazione che vuole imporsi come standard, che si autoassolve, che cerca di disegnare la propria verginità affinché venga scritta sui libri di storia. Lo standard che impone è il proprio, giudicando il resto per differenze. Viene forse di qui la deriva dei rottamatori: di fronte a standard che si autoimpongono e autoassolvono, c’è poco da fare. E via di rottamazioni e di “reset”, altre derive che spesso e volentieri giocano sui giovani le proprie armi propagandistiche.
Vale a poco sottolineare quanto sia fondamentale alternare il gioco allo studio, il videogioco alla lettura, la televisione alla musica, le lingue alla matematica, la logica alla filosofia. Vale a poco rimarcare quanto, soprattutto oggi, un approccio multidisciplinare alla vita e un approccio multisensoriale all’apprendimento valga più di qualsiasi altra cosa. Vale a poco soprattutto passare un intero weekend su Twitter a rimbalzarsi tesi e dimostrazioni ad un ritmo di 140 caratteri con sincope sugli hashtag. Non ne vale la pena, piuttosto accendete la Xbox: tentare è nobile, perseverare già lo sappiamo cosa sia.
Carlo Calenda ha ragione: bisogna investire sui giovani. Ma chiunque chiuda il proprio discorso con un “in casa mia non entrano“, solitamente ha più bisogno di autoaffermarsi che non capacità di mettersi in discussione. Game over.