L’autunno è ufficialmente iniziato, per cui l’obiettivo di far partire entro l’estate i bandi di gara per l’assegnazione delle licenze WiMax è stagionalmente sfumato . Ma la gara – ripetono quotidianamente dal Ministero – dovrebbe essere imminente e, accanto a chi si fa avanti nella speranza che questa tecnologia risolva il problema del digital divide nel proprio territorio, c’è chi si propone di impugnare il regolamento sulle modalità di assegnazione delle licenze.
A farsi avanti – come riporta Ultimomiglio.news – sono le Amministrazioni Provinciali italiane, che chiedono al Ministro delle Comunicazioni di porre in essere tutti gli strumenti tesi a superare rapidamente il problema del digital divide, candidandosi a prendere parte ai progetti locali con proprie risorse. È quanto ha dichiarato Fabio Melilli, presidente UPI (Unione delle Province Italiane), a margine della seduta della Conferenza Unificata della scorsa settimana: “Siamo pronti a impegnare risorse sul WiMax e non disdegneremmo che qualche licenza fosse lasciata agli enti locali, laddove non esistessero privati intenzionati ad investire sui territori”.
“Ci aspettiamo un tavolo di confronto molto serrato – ha aggiunto Melilli – che ci possa portare presto, in coincidenza con il rilascio delle licenze WiMax, a risolvere il problema (…) Ci sono province italiane dove l’80% del territorio non ha ancora la banda larga: questo colpisce soprattutto le giovani generazioni delle zone interne del paese”.
Ma, sempre in tema di assegnazione delle frequenze, sopravvivono le perplessità di osservatori, analisti e operatori. Morse ha avuto accesso ad una lettera – destinata al Ministero delle Comunicazioni, all’ Authority TLC e ai Commissari Europei alle Comunicazioni e alla Concorrenza – con cui alcune società, rappresentate da uno studio legale, hanno inteso contestare il regolamento deliberato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Oggetto della contestazione, alcuni “profili di illegittimità” che emergerebbero dalla lettura di tale regolamentazione, in cui – sostanzialmente – la posizione dominante di Telecom Italia e quella oligopolistica degli operatori di rete mobile non sarebbero considerate condizioni di privilegio: di fatto, l’incumbent e le aziende di telefonia mobile non appaiono sottoposte a condizioni o a vincoli particolari e possono prendere parte alle gare alla stessa stregua di altri operatori, con i vantaggi derivanti dal possesso e dall’utilizzo di un’infrastruttura consolidata.
Già all’uscita della delibera con cui erano state fissate le linee guida per le gare si sollevarono vivacissime polemiche , anche in merito alla policy delle aste a rilancio e per quei “criteri di idoneità tecnica e commerciale”, elementi che possono concretamente privilegiare le grandi telco in virtù delle loro possibilità tecniche ed economiche. Il rischio, in definitiva, è quello di tarpare le ali ad operatori e fornitori di connettività di piccole dimensioni che – vedendosi svantaggiati – potrebbero scoraggiarsi e lasciare campo libero ad incumbent e gestori di telefonia mobile.
Il tutto in un quadro che, come noto, non prevede alcuna riserva di frequenze per un uso libero, come invece richiesto a gran voce da esperti di primo piano.
Dario Bonacina