Roma – Dirlo sembra quasi una banalità perché alla vigilia dell’appuntamento le difficoltà già si erano viste tutte: il World Summit on Information Society, il primo grande appuntamento internazionale sulla società dell’informazione che sotto l’egida dell’ONU si è tenuto a Ginevra si è risolto in un sostanziale e approfondito brainstorming senza decisioni eclatanti. I media, presenti in massa ma secondo molti incapaci di veicolare davvero informazione sul WSIS prima, durante e dopo, hanno mantenuto un sostanziale “silenzio stampa”, interrotto solo da qualche valente penna delle agenzie internazionali.
Certo ci sono, a conclusione dell’evento, una imponente Dichiarazione di principi e un conseguente Piano di azione , entrambi figli della natura stessa dell’arte diplomatica, quella di conservare nel possibile tutto ciò che non sia irrimediabilmente perduto.
Nella Dichiarazione sono scritte cose importanti, come il fatto che i paesi ricchi si debbano impegnare ad aiutare gli altri nell’importare e sviluppare tecnologia per rivoluzionare i propri processi amministrativi e finanziari, per agevolare lo sviluppo delle imprese e delle società nel loro complesso. Belle parole che tutti dovrebbero leggere e che sono quanto resta di un piano di cooperazione che per il momento si è fermato dinanzi all’impossibilità di determinare quanto tutto questo dovrebbe costare, chi lo dovrebbe pagare e con quali modalità. Ma sono tutti d’accordo con il perché: lo sviluppo della società dell’informazione è visto come percorso capace di ridurre, se non eliminare, le grandi piaghe dell’umanità . Forse si pretende un po’ troppo dalla forsennata circolazione dei bit ma è inutile contestare questo scenario: si tratta di bei principi, appunto, e solo di quelli.
È così passata a suon di voti favorevoli la proposta di Fondo di Solidarietà digitale contro il digital divide , una creatura di Abdoulaye Wade, testardo presidente del Senegal, che dai delegati è riuscito ad ottenere addirittura la bellezza di un milione di dollari per varare il Fondo. Da esperto delle navigazioni internazionali Wade ha comunque enfatizzato come promettente inizio un voto strappato ai diffidenti paesi occidentali. Si vedrà nel 2005, nella seconda fase del Summit che si terrà in Tunisia, se quel milione di dollari sarà stato davvero un inizio o sarà invece divenuto ricordo sfocato di impegni dimenticati. In questi due anni si studierà se un Fondo del genere è fattibile e si lavorerà sul “Plan of Action” che potrebbe portare a decisioni questa volta sostanziali.
Al WSIS non c’è stato nemmeno modo di risolvere davvero la questione ICANN . Organismo di governo della rete, oggi soggetto ancora al dipartimento del Commercio americano, ICANN avrebbe potuto essere sostituito o avrebbe potuto evolvere in un organismo davvero sovranazionale in seno all’ONU. Ma il timore che finisse sotto l’ombrello delle grandi corporazioni, invece, ha fatto sì che il dibattito si sia esaurito in un rinvio ad un lungo lavoro di smussatura diplomatica i cui risultati si vedranno, manco a dirlo, forse nel 2005.
Su un risultato mediocre che convince solo qualcuno ha senz’altro pesato il ruolo di paesi intervenuti al WSIS, come Cuba, Cina o Iran, la cui lunga storia di repressione dei diritti civili e della libertà di espressione certo non si concilia con le ispirate dichiarazioni della vigilia del WSIS.
Non tutto è stato vano, però. Secondo Matilde Ferraro , membro della delegazione italiana al WSIS per conto della ONG Alisei , la Società Civile “non ha mai avuto uno spazio così ampio in un consesso di questa portata”. La Dichiarazione, però, non convince “sul modo con cui i Governi hanno affrontato alcune questioni cruciali quali il governo di Internet, le modalità per finanziare il superamento del divario digitale, la centralità dei diritti umani e del diritto di espressione, le questioni legate alla sicurezza e il ruolo dei media nella Società dell’Informazione”. Ed è stata quindi presentata una Dichiarazione della Società Civile (disponibile qui in formato.rtf) che secondo Ferraro sarà la base per prepararsi al secondo round, quello di Tunisi.