Com’è noto, il lancio di Vista ha messo l’acquolina in bocca ai produttori di hardware, che già da anni preparano le tasche a ricevere gli introiti derivanti da quello che nella storia degli OS Microsoft rappresenta il peso massimo in quanto a requisiti reali di sistema. Frutto tangibile di questi stepping tecnologici forzati dal lancio di Vista sono i dischi rigidi ibridi destinati per ora ai computer portatili, che promettono di abbassare il consumo energetico e porre rimedio a uno dei problemi che storicamente affliggono l’hardware dei moderni PC: la lentezza del sottosistema disco.
Negli anni infatti l’incremento di velocità di accesso e trasferimento dati nel comparto hard disk ha seguito un ritmo molto inferiore ai progressi fatti nella velocità con cui la memoria volatile e la CPU comunicano fra loro.
Questo problema condiziona da tempo lo sviluppo degli OS per PC, rendendo il caching sempre più pressante al fine di ridurre al minimo l’accesso alla memoria di massa. Se, per esempio, dopo un quarto d’ora di uso “rilassato” di un PC Vista trovaste solo 4 Mb di memoria fisica residua su un totale di 1Gb, con molta probabilità la cosa dipenderebbe proprio dall’aggressività delle politiche di caching con cui il nuovo OS di Redmond tenta di prevedere le vostre mosse.
Non è dunque un caso che proprio Microsoft abbia molto e a lungo caldeggiato l’hard disk ibrido, un disco tradizionale affiancato da una cache flash NAND (sui modelli Samsung appena lanciati il quantitativo è pari a 256Mb).
Sul fronte prestazionale, Samsung, primo produttore a mettere sul mercato modelli ibridi, dichiara che questi possano contrarre i tempi di boot e ripristino dall’ibernazione fino al 50% e promette un abbassamento dei requisiti energetici che va dal 70% al 90%. Tutto ciò dovrebbe produrre, sempre stando alle dichiarazioni del gigante coreano, circa 30 minuti in più di durata della batteria su notebook di ultima generazione. Maggiore resistenza agli urti, riduzione della temperatura e del rumore di esercizio completano il quadro dei vantaggi promessi dai nuovi dischi. Insomma, il futuro è ibrido? In attesa dei primi benchmark proporrei alcune considerazioni.
Innanzitutto questa tecnologia parte con un costo decisamente elevato anche per una novità: i prezzi dichiarati sono all’incirca doppi rispetto a quelli di hard disk tradizionali di pari capacità. Suscitano perplessità alcuni aspetti tecnici: un quantitativo di cache di 256Mb pare piuttosto esiguo se raffrontato alla dimensione di un OS come Vista e alla mole di dati di cui potrebbe avere bisogno in fase di boot. D’altronde dai tempi di Windows 2000 il tempo di boot del sistema operativo si è di molto contratto e anche Vista ha portato miglioramenti su questo versante, il che rende la riduzione del boot time un dato molto meno critico oggi che in passato. Quando poi l’installazione dell’OS andasse ad appesantirsi come accade puntualmente dopo qualche mese di utilizzo, 256Mb diverrebbero decisamente pochi per mantenere le promesse di Samsung.
Altro punto interrogativo: la memoria flash NAND ha un ciclo di vita finito (circa un milione di cicli di lettura/scrittura), cha appare di vari ordini di grandezza inferiore al MTBF (Mean Time Between Failures) dei moderni hard disk: come sia stato affrontato questo problema in fase progettuale non è dato per ora sapere, ma di certo potrebbe compromettere l’affidabilità del dispositivo e quindi la longevità dell’investimento. Va poi rimarcata una significativa differenza fra le prestazioni di lettura – potenzialmente accelerate dalla cache – e quelle di scrittura, che richiedono lo spin-up e l’accesso ai piatti.
Inoltre negli hard disk finora conosciuti, il momento di massimo assorbimento – oltre che di massima usura – è l’avvio, dopodiché il consumo si stabilizza su valori molto bassi e l’usura tendenzialmente si azzera. Frequenti accessi ai piatti, che su un disco ibrido sono fermi finché è la memoria flash a rispondere alle richieste di sistema, potrebbero vanificare in parte i vantaggi in termini di prestazioni e consumo oltre ad accorciare il ciclo di vita della meccanica.
Dal punto di vista dell’architettura hardware complessiva, la tecnologia del disco ibrido va a inserirsi in un terreno già affollato da altri dispositivi che lavorano per il caching: Readyboost di Vista , Turbo Memory di Intel oltre alla cache su RAM. Tutto ciò rende più probabile il cosiddetto caching della cache , che priva di senso la costosa aggiunta di blocchi di memoria flash nel sistema.
Questa osservazione acquisisce molto peso nel mondo PC in cui, a differenza di quanto accade in piattaforme chiuse, il sistema operativo deve tener conto di ogni possibile configurazione: hard disk ibridi o non, schede madri con o senza Turbo Memory, cache su dispositivi flash USB. Malgrado gli sforzi di Microsoft per divenire parte attiva nello sviluppo delle architetture hardware, valutare l’efficacia di Vista nel districarsi in questa giungla è tutt’altro che facile.
In conclusione, il reale impatto prestazionale di questa tecnologia è ancora tutto da dimostrare ed è in gran parte legato all’efficienza con cui sarà supportato dal sistema operativo. Ad oggi sembra nient’altro che una conseguenza di Vista, la cui avidità di risorse rappresenta per i produttori hardware una ghiotta occasione per accelerare il ritmo di upgrade tecnologico. Non è detto peraltro che si rivelerà un flop sul mercato, dato che nella stragrande maggioranza dei casi lo si troverà integrato su notebook preconfigurati.
D’altro canto, alla luce del prossimo venturo flash drive, il disco ibrido appare come una mezza innovazione: flash drive ha prestazioni elevatissime ed uniformi indipendentemente dal supporto o dall’ottimizzazione dell’OS. Se di qui a qualche mese flash drive debuttasse sul mercato, sospetto che non sarei l’unico a chiedermi che senso possa aver avuto questo passo intermedio.
Alessio Di Domizio
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