Vicino al Politecnico di Milano c’era (forse c’è ancora) un negozio di informatica che vendeva Mac, e proprio in quel negozio mi recai, durante la pausa tra una lezione e l’altra, per vedere dal vivo il primo iMac .
Sono passati vent’anni da quel lontano maggio del 1998, da quel ritorno in grande stile di Steve Jobs, che per far risorgere l’azienda che aveva creato, decise di tornare alle origini, presentando un computer all-in-one, come il primo Mac… non si trattava certo di una novità assoluta, visto che qualche anno prima (1994) nel tentativo di risollevare le sorti economiche della società, tra i vari modelli della serie Performa compariva anche la serie 5300 che di fatto era un all-in-one, e tre anni più tardi (in leggero ritardo) Apple celebrava i vent’anni della mela con un modello speciale , nome in codice Spartacus , che sebbene non fosse un prodotto consumer (parliamo di una serie limitata venduta a prezzi intorno ai 10’000 dollari) manteneva in vita quel concetto di macchina compatta che è sempre stato caro ad Apple.
Ma torniamo all’iMac. L’ iMac non era semplicemente un computer all-in-one, ma era l’emblema di come Apple doveva rinascere… Jobs era tornato in Apple, e nel suo stile volle curare in modo maniacale ogni dettaglio, dalle prime idee (decine furono i prototipi scartati prima di giungere a quello che negli sviluppi successivi sarebbe diventato l’iMac) alla preparazione del palcoscenico per la presentazione, passando per la scelta dei materiali. La gente, diceva Jobs, non si sentiva a suo agio con la tecnologia, ed era necessario che il nuovo computer di Apple fosse “amichevole”: la semplice scelta delle plastiche traslucide richiese molto tempo, e a Jobs no interessava che una scocca fatta in quel modo costasse il triplo di quelle di tutti gli altri scatoloni beige, perché si trattava di un dettaglio che, oltre a rendere il computer un oggetto più confidenziale e giocoso (caratteristica accentuata anche dalla maniglia inserita nella parte superiore) consentiva alle persone di osservare la cura dell’assemblaggio interno. Il colore proposto da Ive era una particolare tonalità di blu, il blu bondi , dal nome di una spiaggia australiana caratterizzata da acque cristalline di quel colore.
L’iMac (anche la scelta del nome non fu semplice) doveva rappresentare il futuro dei computer consumer, economico (1299 dollari contro un minimo di 2000 dollari per tutti gli altri Mac dell’epoca) ed amichevole al punto giusto: doveva avere un design accattivante (di fatto su il primo prodotto della collaborazione tra Jobs e Ive) ed essere pronto all’uso appena tolto dalla scatola. Al tempo stesso anche sufficientemente innovativo da rappresentare un punto di svolta rispetto al passato; si racconta che Jobs diede in escandescenza quando realizzò che il primo modello in produzione era dotato di cassetto per il caricamento dei CD, quando lui avrebbe voluto una semplice fessura, ma non c’era tempo per cambiare le carte in tavola, e si accontentò della promessa degli ingegneri che il lettore CD slot-in sarebbe stato implementato il prima possibile (scelta che ebbe i suoi pro ma anche diversi “contro”).
Fu così che il 6 maggio del 1998 Steve Jobs presentò l’iMac presso l’auditorium Flint del De Anza Community College di Cupertino, lo stesso palco che aveva visto la presentazione del primo Mac nel 1984, e per l’occasione invitò in prima fila Steve Wozniak, Mike Markkula, e Mike Scott. Nulla poteva andar storto, Jobs studiò tutti nei minimi dettagli, comprese le luci che avrebbero dovuto far risaltare il design del nuovo Mac e il video di presentazione con la famosa scritta Hello (again) . Nonostante furono in molti a storcere il naso di fronte a certe scelte, l’iMac rappresentò la macchina della rinascita della mela: spariva il lettore di floppy disc, spariva la porta SCSI (da sempre emblema di ogni Mac nell’utilizzo professionale) e spariva ogni altra porta, per lasciare spazio alla sola USB: solo un paio d’anni più tardi venne aggiunta la Firewire, quando con iMovie iniziò l’era del montaggio video consumer… ma questa è un’altra storia. Apple, forse per la prima volta, abbracciava in modo completo ed esclusivo uno standard destinato a diventare universale, e lo faceva prima ancora che questo fosse pienamente supportato dall’onnipresente MS-Windows, e devo ammettere che io stesso inizialmente ero abbastanza scettico su questa scelta: la prima cosa che chiesi quando andai a vedere l’iMac per la prima volta (parliamo di molti mesi più tardi, perché nonostante la presentazione di maggio, il nuovo computer di Cupertino arrivò nei negozi solo in tarda estate) fu quella di vederlo all’opera con uno scanner USB… e la dimostrazione fu più che convincente…
L’accoglienza della stampa specializzata fu quasi unanimemente entusiasta, e le poche critiche (a parte quelle inevitabile di Microsoft, che cercava strategicamente di “sminuire” la portata dell’annuncio) furono riservate al minuscolo mouse rotondo, dalle dimensioni di un disco da hockey. Forse vale anche la pena ricordare che l’idea iniziale dell’iMac non era quella di un computer vero e proprio, ma piuttosto quella di un Network Computer , cioè un terminale senza hard disk destinato principalmente ad essere collegato alla rete, ma fortunatamente Jon Rubinstein (uomo di grande esperienza che Jobs aveva portato con se dopo l’esperienza NeXT ) lo convinse a realizzare un prodotto più completo derivato dall’adattamento delle componenti interne del PowerMac G3: riassumendo tutte le specifiche tecniche, l’iMac aveva un processore PowerPC G3 da 233 MHz, 64MB di RAM, 4GB di Hard Disk, lettore CD 24x, monitor da 15″ con risoluzione 1024×768, due porte USB (più quelle sulla tastiera, alla quale poteva essere collegato il mouse).
Senza tediarvi elencando tutti i modelli (che potete trovare su Everymac , su Apple-History , o in molti altri siti dedicati al mondo della mela) dobbiamo però ricordare che, nel corso degli anni, questa macchina è diventata un’icona del mondo Apple ed ha subìto molte trasformazioni, cambiando aspetto ad ogni salto generazionale. L’iMac G3 con forma a goccia è stato prodotto in numerose varianti cromatiche (alcune delle quali non molto apprezzate, come le versioni floreali di inizio 2001) fino alla fine del 2002; nel febbraio del 2003 arrivò invece l’iMac G4, il cosiddetto lampadone , che fu prodotto in tre diverse varianti di schermo: 15, 17 e 20 pollici.
L’iMac G4 ebbe vita breve, perché già nell’agosto dell’anno successivo Apple cambiò nuovamente le carte in tavola con l’iMac G5, introducendo per la prima volta un idea di iMac che persiste tutt’oggi. Nell’ iMac G5 tutto il computer è sistemato dietro il pannello LCD, per un totale di soli 5 cm di spessore, anch’esso disponibile in due diverse soluzioni da 17 o 20 pollici. Nel 2004 fece molto scalpore questa soluzione, ma se pensate ai modelli attuali, coi display da 27 pollici in risoluzione 5K, ancora più sottili (soprattutto ai bordi) tanto da sembrare in tutto e per tutto dei semplici schermi, il confronto con gli iMac G5 fa apparire questi ultimi un poco “goffi”.
Ad ogni modo, chi segue il mondo Apple sa benissimo che il 2006 fu l’anno di uno dei cambiamenti più drastici della storia di Apple, ovvero il passaggio dai processori PowerPC ai processori Intel, e l’iMac fu una delle macchine scelte per inaugurare questo passaggio. I primi iMac Intel conservarono la stessa scocca in plastica bianca dell’iMac G5, differenziandosi solo per l’introduzione di un modello da 24″, e solo nell’agosto dell’anno successivo iniziò la serie in alluminio che, con vari perfezionamenti, passaggi alla scocca unibody (ricavata cioè da un unico blocco di alluminio), assottigliamenti, e introduzione dei display retina in alta risoluzione, è quella tutt’ora in vendita.
L’ultima novità in ambito iMac, è la recente introduzione dell’ iMac Pro , una macchina con display da 27 pollici a risoluzione 5K e ampia gamma cromatica (P3), processori Intel Xeon W configurabili da 8 a 18 core, memoria RAM da 32 a 128GB, e molte altre caratteristiche che fanno uscire l’iMac dall’ambito consumer per il quale era stato creato, per farlo sconfinare, grazie al display e alla potenza di calcolo, in un contesto professionale dove si elaborano in tempo reale flussi video a risoluzione 4K.
Da non dimenticare infine che, sulla scia degli iMac, Apple rilasciò anche gli eMac : ideati principalmente per il mercato educational, e caratterizzati da un display CRT da 17 pollici, erano dotati di un processore PowerPC G4, e rappresentavano quindi un’alternativa più economica all’iMac “lampadone”.
Come visto in questa breve panoramica il cui intento era quello di raccontare la storia della nascita dell’iMac fino ad arrivare ai giorni nostri, in vent’anni di questa macchina sono cambiate molte cose, ma c’è qualcosa che non è mai cambiato, neanche col passaggio ai processori Intel: mentre i PowerBook e i PowerMac sono diventati MacBook e Mac Pro, l’iMac è rimasto sempre iMac… L’iMac è la macchina che ha segnato la rinascita di Apple e la rivincita di Jobs, e anche in questi anni in cui i portatili occupano la stragrande maggioranza del mercato, l’iMac continua a mantenere un certo fascino, grazie anche alla sua capacità di rinnovarsi per adeguarsi alle nuove tecnologie presenti sul mercato, fino ad arrivare ad un modello Pro (caratterizzato da un allumino di colore più scuro, grigio siderale) che allarga i confini degli utilizzi visti finora e prepara il futuro dell’iMac per molti anni ancora di successo.