A pochi giorni dall’esordio dell’app cosiddetta “Immuni“, le scelte alla base del contact tracing in salsa italiana sono state rese pubbliche nel nome di quella trasparenza da più parti invocata in queste settimane. L’app non ha convinto tutti, infatti: in parte per posizioni preconcettuali, in parte per l’evidente andamento ondivago delle spiegazioni fornite, ma sembra complesso a questo punto convincere tutti sulla bontà della scelta effettuata e del lavoro posto in essere. Eppure proprio l’unione farà la differenza, perché solo una installazione massiva dell’app potrà concretamente aiutare l’Italia a resistere durante la “Fase 2” e “Fase 3” del contenimento della pandemia.
Così è stato scelto Immuni
Il documento odierno (pdf) è così descritto in frontespizio:
Report sulle attività svolte dal sottogruppo di lavoro impegnato nell’individuazione di “Tecnologie per il governo dell’emergenza” (in particolare contact-tracing) mediante valutazione di 319 soluzioni tecnologiche pervenute con call for contribution dal 24 al 26 Marzo.
Tre gli obiettivi posti a monte del lavoro di scelta effettuato:
- provvedere alla tutela della salute pubblica;
- ripristinare il più rapidamente possibile le condizioni permissive delle attività economiche e commerciali dopo il lockdown;
- consentire il recupero della mobilità personale sotto monitoraggio permanente di eventuali focolai di ripresa garantendo al contempo il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali.
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Tutto avrebbe dovuto ruotare attorno a questi tre pilastri, tre indicazioni chiare circa le finalità preposte quando si è scelto di approcciare il contact tracing come nuovo ed ulteriore elemento tra le mani delle istituzioni per poter avere maggiori margini di sicurezza durante la riapertura post-lockdown.
Si partì con PEPP-PT
Il documento, al tempo stesso, evidenzia come in fase iniziale si fosse stabilita una scelta molto chiara:
La selezione della soluzione tecnologica di riferimento a livello europeo è stata proposta dal consorzio internazionale Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing ( PEPP-PT), che conta oltre 130 membri in otto paesi europei e include eccellenze europee nel campo della ricerca scientifica e tecnologica, tra cui anche centri di ricerca italiani.
In questa sede non si vuol scendere nel dettaglio tecnico relativo alle specifiche del PEPP-PT, ma è importante notare come fosse stato questo in punto di partenza: quella che si cercava era una via europea al tracciamento.
Nella soluzione proposta dal consorzio europeo i dati vengono normalmente conservati solo sul device dell’utente. A seconda degli obiettivi del servizio, alcuni dati aggregati e crittografati possono eventualmente essere periodicamente salvati su un database protetto, per limitare i rischi di perdita o danneggiamento del device e dei relativi dati di contatto. Limitatamente ai casi verificati di contagio, tali dati potranno essere messi in condivisione con le autorità sanitarie per i necessari interventi di contenimento e prevenzione.
Interazioni rilevanti
L’app è stata pensata per poter tracciare soltanto i contatti rilevanti, quelli effettivamente ad alto potenziale di contagio. Questo espediente è stato pensato fin da subito al fine di evitare troppi falsi positivi che avrebbero portato a maggiori chiusure laddove si auspicavano invece maggiori riaperture. Peccato non aver esplicitato fin da subito questo passaggio: si sarebbero evitate settimane di discussioni su questo semplice punto. Il documento a tal proposito è comunque molto chiaro, il che significa che il brief consegnato alla commissione era già sufficientemente dettagliato fin dalla prima ora.
Sulla base di stime recenti per la trasmissione COVID-19, le ricerche empiriche mostrano che per rintracciare almeno l’80% dei contatti delle infezioni rilevate, è necessario prevedere un onere logistico molto elevato, con una media di 36,1 individui (95 percentili: 0-182) tracciati per ogni caso di contagio. Se si rende più larga la definizione di contatto, è possibile ridurre questo onere, ma con un corrispondente aumento del rischio di casi non tracciati; i ricercatori stimano che, per qualsiasi definizione di stretto contatto si voglia adottare, una procedura di contact tracing manuale che richieda più di 4 ore di ricerca è probabilmente destinata a generare una diffusione incontrollata dell’infezione. […]
La scelta
La scelta è stata, come noto, quella dell’app Immuni, mentre ad essere scartate sono ProteggInsieme, TrackMyWay, CovidApp, SafeTogether e COMBAT (ossia quelle arrivate alla fase finale dopo la preselezione).
Il report evidenzia un aspetto per certi versi paradossale: l’app è stata esplicitamente scelta (poiché il report lo evidenzia in più punti) sulla base della risposta fornita in termini di adesione al consorzio PEPP-PT. Due passaggi a titolo esemplificativo:
Si noti in ultima istanza che il team ha già aderito e collabora attivamente con il Consorzio Europeo PEPP-PT. Quest’ultimo è un fattore positivo per quanto riguarda la capacità di lavorare a livello paneuropeo e nell’ottica di implementare in breve tempo una soluzione europea condivisa.
La soluzione Immuni utilizza la tecnologia sviluppata dal Consorzio Progetto Europeo PEPP-PT, promettendo quindi maggiori garanzie di interoperabilità e anonimizzazione dei dati personali. Tale soluzione inoltre risulta essere ad uno stadio di sviluppo più avanzato della soluzione CovidApp.
Oggi sappiamo che l’app non sarà più basata sul PEPP-PT, ma sui principi che ispirano la piattaforma Apple-Google rilasciata in beta release poche ore fa. Ciò farebbe pensare ad un “voltafaccia” che mina le basi della scelta della task force e la cosa appare per certi versi anche ovvia. Tuttavia ci sono motivi legati a tempi e urgenze che dovrebbero ammorbidire tali sentenze affrettate: non era inizialmente noto che Apple e Google sarebbero scese in campo, né v’erano certezze tecniche sul tipo di soluzione ideata e per l’Italia era doveroso correre per giungere quanto prima ad una soluzione. Il report andrebbe dunque giudicato per quello che è, al netto di semplificazioni forti del “senno del poi”. Una volta palesata la soluzione Apple-Google, che gode peraltro della benedizione dello stesso PEPP-PT, non cambiare idea sarebbe stato ingenuo. Sebbene la scelta iniziale fosse basata su basi divenute improvvisamente fragili, si è pertanto deciso di procedere con Immuni e con un team giudicato solido ed esperto in fase di intervista.
Tempi
Il report indica tempi certi per lo sviluppo, ossia 3 settimane per le fasi alpha e beta: le tre settimane successive sono destinate al rollout e questo sembra quindi indicare il fatto che l’app debba essere ormai rilasciata nei prossimi giorni. Non solo:
Negli scenari studiati, è evidente che l’uso di tecnologie per il contact tracing ha la maggiore efficacia prima del termine del periodo di lockdown, quando le misure di isolamento hanno consentito di ridurre il più possibile il tasso di riproduzione di base dell’infezione.
Più si attende, insomma, e meno l’app è efficace. Occorre quindi correre contro il tempo, rilasciarla il prima possibile e sperare che i risultati conseguiti possano incoraggiare il maggior numero possibile di persone ad aderire a questo tipo di tracciamento collettivo dei contatti e dei contagi.