Quella che dovrebbe essere una domanda dalla risposta quasi scontata (sia nella direzione del “si” che nella direzione del “no”), con ogni evidenza non lo è più: la compatibilità di Immuni con gli smartphone più diffusi è una questione di cui discutere, da chiarire e – possibilmente – da risolvere.
Immuni, problema di compatibilità
L’incompatibilità di Immuni con un certo numero di smartphone è un problema sia nella in termini di qualità del servizio che in termini quantitativi – e le due cose per molti versi si sovrappongono. Da una parte v’è la necessità di offrire un servizio “democratico” al quale possano accedere quante più persone possibili per una questione di giustizia sociale; dall’altra v’è la necessità di arrivare a grandi numeri per una questione di tutela sanitaria, obiettivo raggiungibile soltanto se la penetrazione dell’app sarà realmente molto ampia tra la popolazione in movimento sul territorio.
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Sono tre i problemi sostanziali in ballo da affrontare in queste due settimane che separano l’Italia dall’avvio ufficiale del progetto:
- gli smartphone datati, per i quali non è possibile accedere al Framework A/G alla base del funzionamento dell’app di contact tracing
- gli smartphone non aggiornati, per i quali occorre istruire l’utenza ad un update prima di poter installare ed utilizzare l’app
- gli smartphone Huawei e Honor, per i quali è emersa una (inattesa?) problematica che in queste ore ha escluso del tutto i prodotti del gruppo cinese dalla sperimentazione
Gli smartphone datati
Non è possibile avere una statistica ufficiale sull’età degli smartphone in mano agli italiani, ma i riferimenti relativi ai requisiti per l’uso di Immuni sono abbastanza chiari: smartphone che hanno 4-5 anni di età rischiano di star fuori dal progetto. Trattasi di una scelta dolorosa, ma necessaria: per far funzionare Immuni servono una serie di funzionalità che soltanto il Framework A/G può garantire sulla base delle scelte effettuate e ciò impone l’esclusione dal gruppo di tutti coloro i quali hanno smartphone fuori dal supporto dei vari produttori rispetto agli aggiornamenti software richiesti. Così come i dispositivi Apple debbono avere in dote iOS 13.5 o successivi (e dunque a farne le spese sono gli iPhone 6 e precedenti, mentre iPhone 6S e successivi sono contemplati dall’aggiornamento), allo stesso modo sul fronte Android occorre aver installato Google Play Services 20.18.13 o successivo.
Gli smartphone non aggiornati
Questa la situazione attuale degli aggiornamenti su Android:
Questa, invece, la situazione attuale degli aggiornamenti su iOS:
Nel mondo Apple c’è un 10% di utenti ancora fermo ad iOS 12, quota che arriva al 15% se si comprendono tutti i device che non sono in alcun modo passati alla versione 13. Lato Android la frammentazione del sistema operativo è superiore, ma la quota di utenti potenzialmente in grado di passare all’ultima versione utile sono pressoché nella medesima quantità (l’80% degli utenti è già su Android 8.0 Oreo o successivo, un ulteriore 10% è alla versione 7.x e un 10% circa sembra invece essere ad oggi escluso da ogni possibilità di aggiornamento utile).
Per verificare la propria compatibilità lato Android è possibile seguire le istruzioni di Telefonino.net:
Tutto quello che dovrai fare è aprire la impostazioni dello smartphone e selezionare “Google”. Se il device è pronto e aggiornato leggerai a inizio schermata “notifiche di esposizione al COVID-19”. Se la scheda (cliccabile) non appare, dovrai aggiornare la versione dei Google Play Services a bordo del device alla versione 20.18.13 o superiore. Anche in questo caso, non tutti i terminali sono compatibili, ma solo quelli certificati da Google e con a bordo almeno Android 6
Gli smartphone Huawei e Honor
Questo è il nodo più problematico: fin dalle prime ore avevamo segnalato problemi sui dispositivi Huawei e Honor, ma nelle ultime ore sono giunte conferme gravose sul fatto che il problema non fosse isolato a pochi terminali, ma fosse invece sufficientemente esteso da sconsigliare un ulteriore coinvolgimento di questi brand nella sperimentazione.
Come risolvere il problema? La sensazione è che il bandolo della matassa possa essere trovato solo da Google (lato Android) o dalla stessa Huawei (lato App Gallery): agli sviluppatori l’onere di lavorare sulla questione non appena sarà fornita una via d’uscita.
A descrivere la dimensione del problema sono ancora una volta i dati:
I dati di maggio indicano una penetrazione di Huawei sul mercato italiano pari al 24,4% ed è quindi facile supporre che almeno uno smartphone su cinque sia quindi attualmente escluso dal perimetro di Immuni per una semplice questione di brand. Il problema sarebbe stato isolato nell’aggressiva gestione dell’autonomia che Huawei pone in essere sui propri terminali, questione già verificata su altri ambiti ma mai “esplosa” con l’impatto che Immuni ha invece posto in tutta la sua evidenza.