La sperimentazione dell’app Immuni, definita da più parti come fondamentale per il tracciamento e la limitazione dei contagi sul territorio italiano, potrebbe partire fin dai prossimi giorni. La realtà, però, è che ancora si sa ben poco in proposito oltre alle ipotesi giornalistiche – peraltro contraddittorie – che stanno trapelando.
Quel che è certo è il codice sorgente, parzialmente rilasciato, nonché il bug fixing pubblico che sta procedendo. La piattaforma è pronta, le analisi non mancano. E ora?
Immuni verso il test?
La prima ipotesi è che si possa partire con una sorta di beta test aperto su tre regioni: Abruzzo, Liguria, Puglia. Non è chiaro perché proprio queste tre regioni, né che tipo di trattamento potrebbero ricevere nel frattempo le altre. La sensazione è che possa trattarsi di un test a tutti gli effetti, mettendo in campo tutto quanto necessario per far funzionare l’app e oliare i meccanismi di dialogo tra app e sanità pubblica prima che il processo venga esteso a tutta Italia. Se così fosse, significherebbe che l’app diventerebbe di dominio pubblico (non è certamente possibile limitarne l’installazione soltanto in talune regioni italiane), ma i processi di segnalazione dei contagi sarebbero attivi soltanto laddove indicato.
Secondo l’ANSA l’ipotesi iniziale di tre regioni abilitate fin dai primi giorni di giugno potrebbe estendersi a sei regioni, ma al momento non è dato sapere quali, né quali siano le fonti accreditate da cui provengono tali indicazioni.
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Quel che appare chiaro è che il contesto che circonda Immuni resta negativo. Attorno all’app è presto venuto a crearsi un fronte contrario che, consolidando le proprie critiche attorno ai timori per la privacy prima ed ulteriori recriminazioni poi, ha ormai cronicizzato una’avversione generale nei confronti del sistema di contact tracing. L’utilità di Immuni, che poteva essere capillare in caso di un 60% di installazioni a livello nazionale e che poteva essere sufficienze se la percentuale fosse scesa al 30%, probabilmente dovrà accontentarsi di una penetrazione ancor più bassa: sembra difficile che, in assenza di uno sforzo comunicativo di ben altra caratura rispetto a quanto posto in essere fino ad oggi, la situazione possa cambiare nel giro di poche settimane.
La polarizzazione del dibattito
Un esempio di come l’opinione negativa sull’app possa facilmente addensarsi attorno alle polemiche, può essere utile l’esempio della vicepresidente della Regione Liguria, Sonia Viale, la quale ha così commentato negativamente l’ipotesi di un beta test aperto alla sua Regione:
Appimmuni. No grazie. Per quanto mi riguarda i liguri non saranno le cavie di un governo che improvvisa anche sull’App immuni.
Perchè non inizia la sperimentazione la regione Lazio che ha come suo Presidente il segretario del PD? Se poi anche il Presidente della Conferenza delle Regioni Bonaccini in pratica ha bocciato l’app immuni presentata ieri dal Governo alle Regioni dicendo che fa fatica a capire cosa è e cosa sarà, ci sarà un motivo. Il Governo è corso ai ripari tentando di sbolognare il progetto ad alcune Regioni tra cui la Regione Liguria con una sperimentazione che dovrebbe partire il lunedì o martedì quando ancora non ci sono pareri definitivi e con una serie di quesiti non risolti sollevati addirittura dal COPASIR , comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica e senza aver informato i medici di medicina generale che saranno protagonisti e coinvolto gli uffici di prevenzione che dovranno sovrapporre il lavoro dell’app immuni a quello già svolto. L’utilità per sconfiggere la pandemia? Tutta da verificare , tra algoritmi , distanze tra i tracciati, durata dei contatti , uso dei dati personali. I liguri saranno le cavie del Governo PD Cinque Stelle ? No grazie.
Dalla privacy ai tecnicismi, passando pesantemente per la politica: quello che avrebbe dovuto essere un fronte condiviso attorno all’app sembra prefigurarsi invece come un fronte estremamente frammentato che non giudicherà nel merito l’app, le sue funzioni e la bontà delle misure poste in essere per la tutela della privacy: siamo di fronte a tanti “no” che rimarranno “no” e tanti “si” che rimarranno “si”, oltre ad una vasta fetta di popolazione che non ha strumenti culturali né interesse per arrivare al click.
Si riparte di qui, in attesa di un beta test che magari potrà sgombrare il campo da qualche dubbio e portare sul tavolo qualche primo caso di successo su cui costruire il buon nome dell’app. In caso contrario si rivelerà semplicemente irrilevante, se non per mere finalità statistiche sulla diffusione dei contagi nel Paese.