È il Commissario delegato alla gestione della crisi Domenico Arcuri a comunicare che l’applicazione Immuni per il contact tracing sarà attiva in tutta Italia entro 15 giorni. I download fin qui registrati, a meno di 72 ore dal debutto sugli store di Android e iOS, sono pari circa 1.150.000.
Arcuri: Immuni in tutta Italia entro due settimane
Una volta concluso il test nelle quattro regioni pilota (Marche, Liguria, Puglia e Abruzzo) tutti coloro in possesso di uno smartphone compatibile potranno scaricare e installare Immuni così da entrare a far parte della rete di utenti potenzialmente in grado di fermare o quantomeno frenare la diffusione della patologia attraverso un sistema di notifiche che tiene conto della prossimità tra le persone rilevata mediante tecnologia Bluetooth Low Energy. La durata del test su scala regionale è destinato pertanto a durare circa una settimana, il tempo utile a calibrare le pratiche sanitarie legate al monitoraggio delle utenze a rischio in caso di notifica e comparsa di sintomi.
Proprio le questioni tecniche relative alla compatibilità rischiano però di costituire uno dei talloni d’Achille del progetto: i dispositivi meno recenti, spesso in uso nelle fasce d’età più avanzate e di conseguenza maggiormente esposte a COVID-19, potrebbero rimanere esclusi dall’iniziativa. Perché Immuni possa esprimere appieno il proprio potenziale serve che una percentuale elevata della popolazione ne faccia utilizzo: almeno il 60% secondo le prime stime, ma la percentuale è ritenuta da più parti eccessivamente ottimistica.
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Molti di coloro che hanno già provato a scaricare l’app su un dispositivo dei brand Huawei e Honor (parecchio diffusi nel nostro paese) hanno segnalato un problema che rende di fatto inutile l’impegno dell’utente, disattivando automaticamente il Bluetooth non appena il telefono entra in standby. Si rimane in attesa di un aggiornamento correttivo, cosa del tutto necessaria se si ambisce a costruire qualcosa che, oltre che utile, possa presentarsi anche come realmente democratico ed accessibile. Molta della responsabilità in tal senso è però in capo all’ecosistema Android: gli sviluppatori italiani poco possono per arginare il problema.