Ci sono eventi, fatti ed avvenimenti che più che per la loro importanza in sé sono utili perché fanno riflettere, nelle dinamiche che sviluppano, su questioni più generali. È il caso, ad esempio, del provvedimento previsto da AGCom: la delibera 668/2010 sul “sistema di cancellazione per i siti sospettati di violare il diritto d’autore”. In pratica questa delibera farebbe di Calabrò una specie di giustiziere della notte al soldo dell’industria dei contenuti che, in barba al principio di suddivisione dei poteri, potrebbe decidere in cinque giorni e senza contraddittorio di chiudere qualsiasi sito che fosse sospettato di aver violato, con i suoi contenuti, le norme sul diritto d’autore.
Gli esperti hanno già detto molto sul perché tale regolamento costituirebbe un mostro giuridico. Tanti bit sono stati spesi sui rischi reali che deriverebbero dalla sua attuazione. Proteste vibrate sono venute dalle associazioni a difesa dei diritti (digitali) dei cittadini. Parole di allarme sono state pronunciate dai più attenti commentatori dei fatti della Rete italiana.
Ma c’è qualcosa, in tutto ciò, di profondamente inquietante.
E non è il fatto che con un’arroganza senza pari AGCom abbia ignorato bellamente qualsiasi suggerimento. Né il fatto che – sia pure prevedibilmente – tale notizia abbia faticato molto ad uscire sui media mainstream . Ad inquietare è l’atarassia con la quale stanno reagendo a questa notizia gli utenti della Rete italiana.
Certo, tutto potrebbe risolversi con un Ballon d’essai se – come pare – si aprisse una consultazione pubblica. O se il regolamento venisse impugnato e portato davanti al TAR. Sta di fatto che ad oggi il rischio di un provvedimento liberticida esiste. E sta di fatto che – a parte il ristretto gruppo dei soliti noti che se ne occupano – tutto tace.
Eppure sono passati meno di quindici giorni da quando commentatori di ogni risma non potevano che ammettere come – con la vittoria dei Referendum – la Rete avesse dimostrato di aver superato la barriera degli esperti, essendo arrivata ormai alla gente comune. Ma dov’è questa gente comune, ora che si tratta di difendere quella rete che a detta di molti è stata determinante per la vittoria dei SI? Dove sono quegli utenti di Facebook che (anche) grazie a questo strumento di libertà hanno potuto far trionfare il loro parere? Dove sono gli utenti della rete italiana quando si tratta di difendere la libertà del loro strumento di libertà?
Il problema dei diritti, una volta acquisiti, è che ci abitua presto ad averli e non se ne considera più il valore. Né ci si rende conto di quanto sia facile perderli, per quanto difficile sia stato stato acquisirli.
Forse per questo motivo mentre in Turchia scendono in piazza a migliaia per difendere la loro libertà di mantenere libera Internet, in Italia i movimenti che stanno organizzando la Notte della Rete del 5 Luglio prossimo le hanno dato ritmi da After Hours più che da sit-in di protesta. Alle nove tutti a casa, o a mangiare una pizza assieme. Che tanto con la pancia vuota si protesta male. E poi sennò non ci viene nessuno.
Insomma, ad essere inquietante non è un provvedimento che probabilmente (anche) questa volta verrà disinnescato. È inquietante il fatto che la manifesta indifferenza di gran parte degli utenti della Rete, inconsapevoli dei loro diritti e del rischio di perderli, è un segnale forte e chiaro per chi un giorno questi diritti volesse davvero attaccarli. Oggi è un regolamento dell’AGCom, domani non sappiamo quale potrebbe essere lo strumento per limitare la libertà della Rete. Ciò che sappiamo è che chi volesse proporlo sa che potrebbe farlo senza sollevare troppo rumore.
In rosso i riferimenti a Tamarreide , in blu quelli ad Agcom
Ciò che sappiamo, in ultima analisi, è dove sono gli utenti mentre si discutono le sorti della libertà in Rete. Delle loro libertà. Ce lo dicono i trending topic di Twitter: a parlare di Hanna Montana e di Ciao Darwin . Ce lo dice Google Trend: a cercare “Tamarreide”. E viene il dubbio – parafrasando Andreotti – che difendere la libertà della Rete in Italia non sia difficile: sia inutile.
Stefano Epifani
Il blog di Stefano Epifani