L’evoluzione di Internet e dei servizi che ne derivano, e il conseguente adeguamento delle infrastrutture su cui essa poggia, non corrono di pari passo. Non è una novità ma, per quanto riguarda lo scenario italiano, la situazione appare più complicata di quanto non sia invece nei paesi attualmente al top nel settore . Questo in sintesi è quanto emerso durante l’intervento di Nicola D’Angelo, commissario AGCOM, al Broadband Summit 2010 tenutosi a Roma questa settimana.
Lo sviluppo delle tecnologie di connessione dislocate lungo lo stivale non è inquadrato in un progetto coordinato dallo Stato : si tratta al contrario dell’azione di imprese private e di alcuni comparti della pubblica amministrazione locale. A causa di questa mancanza di sinergie, culminata con il congelamento degli 800 milioni di euro promessi per l’adeguamento della banda larga, l’Italia rischierebbe quindi di arrivare impreparata all’avvento del cosiddetto Web 3.0: “È una situazione da dentro o fuori – insiste il commissario – bisogna sapere cogliere il valore di quello che è un fondamentale processo evolutivo totalizzante dal punto di vista antropologico”.
A evidenziare l’arretratezza italiana in questo campo vi sono anche i numerosi rapporti stilati da Akamai negli ultimi mesi, che pongono il Belpaese quasi sempre al di sotto della media degli stati tecnologicamente all’avanguardia. A sostegno di questa generale impressione vi è anche una regolamentazione nebulosa, non supportata adeguatamente dal Governo che lascia trasparire, sempre secondo D’Angelo, una totale mancanza di visione da parte dello stesso.
Gli accessi a Internet, specialmente nel Nord, passano attraverso un mosaico di ISP di dimensioni medio-piccole che nella maggior parte dei casi realizzano da sé la propria infrastruttura, sia che si tratti di fibra ottica che di hotspot wireless. Il rischio di una Rete a più velocità, come sottolineato da Pasquale Maria Cioffi, rappresentante al convegno la Provincia di Milano, potrebbe comportare in futuro una maggiore differenza di sviluppo culturale di soggetti di per sé simili ma residenti in aree con diversa penetrazione delle infrastrutture di Rete . Sia che si tratti di bambini o di aziende, la formazione e lo sviluppo si indirizzeranno in maniera diversa a seconda della cultura del Web e della consapevolezza dei servizi ad esso legati.
Gli operatori, da Telecom Italia a MC-link, sono concordi nell’affermare che dovrebbe essere il Governo a rivestire il ruolo di promotore della diffusione della banda larga: ma è stato fatto notare come, in mancanza di un ministero dedicato appositamente al controllo delle telecomunicazioni, risulti difficile immaginare sforzi ulteriori a quelli già prodotti. Inoltre, come aggiunge Andrea Podda di Tiscali, ogni tentativo di garantire l’accesso a Internet via WiFi, pubblico o privato, si scontra con la legislazione italiana che, imponendo l’autenticazione dell’utente, impedisce una fruizione agile di quello che invece dovrebbe essere un servizio da sfruttare e implementare su scala nazionale.
A fare da contraltare alla teoria condivisa della necessità crescente di banda vi è una questione sollevata da alcuni operatori circa l’effettiva utilità dell’implementazione di nuove tecnologie, prendendo in considerazione quelli che sono gli effettivi utilizzi – sia da parte di aziende che di privati – della capacità di banda messa a loro disposizione: i dati presentati mostrano un quadro in cui emerge la figura di un netizen italiano poco consapevole delle potenzialità offerte dalla Rete . Anche i fornitori di servizi, come ha ammesso Nadia Benabdallah di Vodafone, in passato hanno commesso errori non affiancando al debutto di una tecnologia un’efficace marketing, capace di dare quel boost fondamentale per la definitiva consacrazione: è il caso della rete UMTS sviluppata da Vodafone nel 2000, ma che fino al 2002 non ha visto un volume di traffico consistente.
Si è parlato, in conclusione, anche del Decreto Romani: la domanda girata ai presenti riguarda le motivazioni del Governo, bollato come broadcasting oriented , che ha preferito equiparare Internet alla televisione e non viceversa , ponendo in luce quelli che appaiono essere i limiti del testo di legge entrato definitivamente in vigore il 30 marzo. Per l’ex ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, le modifiche seguenti la prima stesura rappresentano sì un leggero miglioramento ma non sono sufficienti, tuttavia, per eliminare ogni possibilità di fraintendimento: “Così facendo – ha concluso l’esponente del PD – in futuro potrebbero scaturire molti contenziosi in materia”.
Giorgio Pontico