Nessuno si è fatto male, non fisicamente almeno. Quando a oltre 45mila piedi (più di 13 chilometri di altitudine) il veicolo di test di Blue Origin , l’azienda aerospaziale finanziata da Jeff “Amazon” Bezos, ha perso il controllo a oltre 1,2 mach di velocità in pieno regime transonico, non c’è stato altro da fare che abortire la missione: il computer di bordo ha deciso autonomamente di mettere fine alla vita del velivolo, spegnendo l’alimentazione e conducendolo alla distruzione .
La notizia, anticipata dal Wall Street Journal e solo in seguito confermata da Blue Origin, risalirebbe al 24 agosto: nessun annuncio era stato fatto fino a oggi né dall’azienda, né dall’agenzia spaziale NASA. Il problema sarebbe insito nel sistema di pilotaggio , che non avrebbe adeguatamente risposto agli input da terra e avrebbe causato una perdita complessiva dell’assetto della navetta. Navetta che al momento ha un tozzo aspetto da scaldabagno , ma che in futuro dovrebbe essere equipaggiata con moduli specifici per il trasporto cargo o quello umano.
In una scarna lettera pubblicata sul sito Blue Origin per spiegare l’accaduto, lo stesso Jeff Bezos ha chiarito che la conclusione del volo “non è stata quella che avremmo voluto”, ma ha ribadito l’impegno per continuare nello sviluppo dei prototipi basati su carburante liquido e riutilizzabili (sono potenzialmente in grado di decollare e atterrare in verticale). In ballo ci sono i finanziamente elargiti dal Governo USA, che tuttavia non erano stati impiegati nella costruzione del prototipo andato distrutto: a ogni modo, i rappresentanti delle agenzie coinvolte si saranno senz’altro presentati alla porta per chiedere spiegazioni .
La sfida lanciata da Blue Origin e altre aziende, tra cui spiccano senz’altro la fortunata SpaceX (prossima alle prime missioni per conto NASA) e Virgin Galactic , è appunto quella di portare anche nello spazio un modello commerciale basato sul trasporto privato . Non più solo missioni ufficiali sponsorizzate dai governi, ma anche turisti che si prenotano per un volo suborbitale o spedizioni di rifornimenti e apparecchiature verso avamposti come la Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Tra quelle sponsorizzate da un imprenditore di successo, Blue Origin sembra al momento l’azienda col progetto più debole : SpaceX come detto ha testato con successo il suo sistema di vettori Falcon e i cargo Dragon, e si prepara nel corso delle prossime settimane a ottenere da parte di NASA le prime commesse per trasportare materiale (al momento di esseri umani non se ne parla) fin sulla ISS a partire dal 2012. Il frangente non potrebbe essere dei migliori, visti i dubbi che al momento circondano i prossimi lanci della pur collaudatissima Soyuz.
Virgin Galactic, invece, punta tutto sul turismo spaziale e pare non incontri particolari difficoltà nello sviluppo e test dei suoi due velivoli gemelli che hanno il compito di traghettare a grandi altezze e poi sempre più su i fortunati in grado di pagare il biglietto a 5 zeri per il viaggio (o imprese con necessità di test particolari). Blue Origin, da parte sua, vorrebbe riunire assieme le due missioni: una capsula capace di trasportare ben sette astronauti per volta, compatibile sia con gli Atlas V della NASA che con il proprio lanciatore a basso costo, e un cargo per effettuare missioni di rifornimento e trasporto di payload in orbita.
Luca Annunziata