Roma – Obtorto collo, il presidente turco Ahmet Necdet Sezer ha dovuto porre la propria firma sotto una legge che è divenuta così ufficiale, una normativa che allontana il suo paese dall’Europa e che pone una cappa di censura e di controllo su internet e i media. Sezer aveva già posto il veto su una normativa del tutto simile ma ora, con la sua seconda riproposizione, non ha il potere per fermarla e ha solo potuto trasmetterla alla Corte Costituzionale per una revisione.
Con la promulgazione, la Turchia si dota di una normativa che pone nelle mani dei pochi grandi gruppi che già controllano i media un potere nuovo, quello di poter esplicitamente affermare la proprietà dei mezzi di comunicazione. Fino ad oggi, infatti, era stato necessario per queste entità ricorrere ad una serie di “società prestanome” che allontanassero i rischi di guai giudiziari dovuti alla creazione di oligopoli nel mondo della stampa e dell’informazione. Ora non c’è più bisogno del giochino delle tre carte e le cose possono essere dichiarate ufficialmente.
La normativa prevede che siano messe fuorilegge le notizie “che raccontano bugie” e rende un reato promuovere il “pessimismo” o la “disperazione” (bugie, appunto). Il tutto con una vaghezza che non può garantire alcuna certezza del diritto.
La nuova legge ne “approfitta” anche per rendere illegale qualsiasi genere di trasmissione in curdo. La liceità di media curdi è tra i requisiti che l’Unione Europea ha sottoposto alla Turchia tra quelli a cui il paese dovrà adattarsi se intende entrare nella UE.
Ma non è solo questo. Con una mossa che ricorda, ma solo in parte, la legge sull’editoria italiana, la nuova normativa turca di fatto pone internet nello stesso regime di controllo già previsto per la stampa. In pratica tutte le attività online sono ora sotto il controllo della Commissione Radio e Televisione.
Questo significa che l’apertura di un sito da parte di un cittadino turco si trasforma nella necessità di richiedere l’autorizzazione esplicita delle autorità governative. Non solo, tutti i materiali pubblicati dovranno essere trasmessi per conoscenza alle medesime autorità di controllo. Qualsiasi giudice in questo quadro può chiedere a qualunque sito internet di presentare alle autorità di controllo anche ogni singolo aggiornamento alle proprie pagine.
Qualsiasi reato di informazione online viene equiparato ad un reato sulla stampa, con conseguenze naturalmente pesantissime sulla libertà della rete. La legge prevede condanne che possono arrivare quasi a 200mila euro.
Il governo e la maggioranza parlamentare appoggiano la normativa, apparentemente incuranti delle conseguenze che è destinata ad avere non solo all’interno ma anche in merito ai rapporti internazionali, in primis quelli con la UE. Il ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni Oktay Vural ha dichiarato che la legge non rappresenta alcuna restrizione e che quanto accade in internet non può uscire dalla legge. “Vediamo che succede – ha dichiarato alla BBC – non credo che questo avrà impatti su internet. Credo che il tempo mostrerà la verità”.
Contro la legge, invece, oltre al presidente Sezer vi è quella parte dell’opinione pubblica che con difficoltà trova le energie per dire la propria contro questa normativa. Tra di loro gli operatori internet, i provider ma anche le associazioni di utenti, che hanno da tempo denunciato inutilmente il gravissimo impatto della legge sullo sviluppo della rete nonché sulla libertà del suo utilizzo. Tutti sperano che la Corte Costituzionale bocci la legge ma è un processo lungo, che potrebbe durare un anno, durante il quale la nuova normativa sarà efficace a tutti gli effetti.