Chi vive nella popolosa Mumbai (ex-Bombay), città simbolo dell’India che censura le perversioni occidentali che corrompono il buon costume delle tradizioni hindu, può mettersi l’anima in pace: neppure frequentare un cybercafé allontanerà lo sguardo vigile delle autorità locali. Nuovi controlli sono appena stati varati , e i gestori di netpoint devono adeguarsi per non chiudere. L’idea di fondo? Difendere la privacy facilita il terrorismo.
La decisione di usare le e-maniere forti – segnalata dal security guru Bruce Schneier – è stata assunta dopo che le investigazioni sui recenti attentati in India hanno evidenziato il ruolo cruciale della rete, e in particolare delle chat, nella pianificazione degli attacchi. I terroristi si nascondono dietro l’anonimato dei cybercafé , questa la logica delle forze di pubblica sicurezza, secondo cui grazie a Internet possono comunicare indisturbati con i propri complici.
La soluzione, dunque, sta nel mettere fine, tout court , all’anonimato e alla privacy negli oltre 500 punti di accesso pubblici alla rete sparsi per la città. “La polizia ha bisogno di installare programmi in grado di catturare ogni tasto premuto e screenshot del video a intervalli regolari, informazioni che verranno poi rispedite ad un server collettore di tutti i dati”, ha dichiarato Vijay Mukhi, presidente della società di sicurezza Foundation of Information Security and Technology (FIST).
Usare trojan autorizzati e sotto il completo controllo della polizia è, secondo Mukhi, “l’unica soluzione per sorvegliare la Rete ed è a questo che l’informatore della polizia somiglierà nell’età dell’elettronica”. In tal modo, i funzionari potranno tenere sotto controllo le comunicazioni dei terroristi in qualunque parte del mondo si trovino.
E non si tratta di una semplice dichiarazione d’intenti: la polizia di Mumbai è già entrata in contatto con la società M/s Micro Technologies per la realizzazione del trojan suddetto, che formalmente dovrebbe avere il nome altisonante di CARMS , Cyber Access Remote Monitoring System.
CARMS si comporta né più né meno come una delle tante schifezzaware (trojan, backdoor, rootkit e affini) da cui i software di sicurezza tentano di difendere l’utente informatico, monitorando il traffico web, il trasferimento di file, le chat-room, l’instant messaging e le email comprensive di allegati . A seconda delle necessità, il trojan poliziesco – o poliziottesco ? – può essere adoperato per restringere l’accesso al web da parte di particolari gruppi di utenti, riporta il Mid-Day .
Come detto, ogni cybercafé dovrà ora ottenere una specifica licenza dalla polizia per poter continuare le attività, comunicando dettagli quali il numero di PC installati, il tipo, e l’indirizzo IP di ogni macchina. Chi non dovesse ottemperare verrà multato secondo i dettami del Bombay Police Act , riservandosi le forze dell’ordine il diritto di usare misure punitive ancora più stringenti .
La questione privacy viene sollevata ed affrontata ancora da Vijay Mukhi: “Quello che occorre è chiedere a noi stessi se sia meglio perdere il diritto alla riservatezza o compromettere la sicurezza della nazione. Non penso che la domanda abbia bisogno di una risposta” osserva deciso l’esperto.
Gli fa eco un rappresentante della Unione per le Libertà Civili, dicendo che “finché il monitoraggio riguarda i computer accessibili pubblicamente, la cosa è nell’interesse della nazione”. Tutti d’accordo insomma: in India la strada per il “trojan poliziottesco” è tutta in discesa .
Alfonso Maruccia