Che il forte incremento nel volume di utenti per Zoom abbia fatto emergere gravi lacune in termini di sicurezza e privacy è cosa risaputa, tanto che la software house si è scusata e messa al lavoro per risolvere la situazione al più presto. Una dichiarazione d’intenti però non sufficiente per evitare alcuni ban eccellenti (SpaceX e Google solo per fare un paio di esempi) e per spingere molti a cercare un’alternativa ritenuta più affidabile. C’è chi si è spinto oltre, come l’India, decidendo di fare da sé.
L’alternativa a Zoom, Made in India
Il governo di Nuova Delhi ha indetto una call rivolta a tutti gli sviluppatori del paese, mettendo sul tavolo l’equivalente di circa 120.000 euro per chi si aggiudicherà l’incarico. Gli interessati avranno tempo fino al 30 aprile per inoltrare le proposte.
Tra i requisiti la necessità di impiegare un sistema di crittografia solido per proteggere le comunicazioni (audio, video e testuali), il supporto per tutte le piattaforme in circolazione e la compatibilità garantita con i dispositivi dalle specifiche tecniche di fascia bassa, senza dimenticare ottimizzazioni per assicurare l’operatività anche su network mobile dalle prestazioni non eccelse. Ancora sono richieste le possibilità di aggiungere i sottotitoli in più lingue alle conversazioni e di condividere i documenti.
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Con una popolazione che supera abbondantemente la soglia di 1,3 miliardi di persone (poco meno della Cina), anche l’India in questo periodo è soggetta a misure restrittive utili per affrontare la crisi sanitaria. Un paese molto vasto anche a livello territoriale, con ampie aree ancora afflitte dalla piaga del digital divide, nonché culturalmente ricco e differente, che come altri a livello globale sta affrontando una corsa allo smart working così da non interrompere per quanto possibile la propria attività.