Assicurare ai cittadini indiani e al resto della Rete che il blocco sugli oltre 800 siti pornografici e immorali sarebbe stato facilmente aggirabile con il supporto di una VPN è probabilmente stato insufficiente a temperare le polemiche riguardo ad una censura di tale portata : le autorità indiane hanno annunciato di voler ridimensionare l’ordine di inibizione e ai fornitori di connettività sarà chiesto di rendere inaccessibili solo i siti che ospitano materiale pedopornografico.
A comunicare il passo indietro è stato il ministro alle Comunicazioni e all’IT Ravi Shankar Prasad: “Il blocco verrà parzialmente ritirato – ha spiegato – l’accesso ai siti che non promuovono la pedopornografia sarà ripristinato”.
Gli ISP sono già stati raggiunti dall’aggiornamento dell’ordinanza: “i provider sono ora liberi di permettere l’accesso a siti precedentemente bloccati – spiega un portavoce del governo – limitatamente a quelli che non contengano contenuti pedopornografici”. Quella che appare una semplificazione atta ad informare la stampa è in realtà l’ oggetto della nuova direttiva , che garantisce ai provider la libertà di ripristinare gli accessi a parte dei siti, e che implicitamente li incarica della verifica rispetto alla legalità dei contenuti.
“Come è possibile che il governo ci attribuisca la responsabilità di controllare se un sito ospita materiale pedopornografico o meno? – lamenta Rajesh Chharia, a capo della Internet Service Providers Association of India (ISPAI) – Come è possibile che un ISP possa essere punito se uno di questi siti sbloccati improvvisamente mettesse a disposizione contenuti pornografici?”: la nuova disposizione è troppo vaga, e i fornitori di connettività si sono rifiutati di agire sul blocco , fino a quando non verranno sollevati dall’onere di giudicare la legalità dei siti che permettono ai cittadini di raggiungere.
Era in effetti rispetto alla pedopornografia e ai contenuti illegali che la Corte Suprema aveva nei mesi scorsi espresso preoccupazione, invitando il governo ad adottare delle opportune misure. Ma la Corte Suprema aveva altresì ricordato che qualsiasi provvedimento si sarebbe dovuto adottare nei rispetto dalla libertà individuale, che contempla la possibilità di godere di materiale pornografico nell’intimità delle proprie mura domestiche, senza alcun rischio di creare scandalo. Il governo, dopo il polverone di polemiche seguito alla prima ordinanza diramata nei giorni scorsi ai fornitori di connettività, aveva creativamente tentato di spiegare che la libertà individuale sarebbe stata garantita dall’inefficacia delle inibizioni. Ora, ammesso che si trovi una soluzione per metterle in pratica, la stessa inefficacia caratterizzerà le inibizioni che pendono sui siti a sfondo pedopornografico, e quindi illegali.
Gaia Bottà