L’industria del porno soffre ormai degli stessi malanni patiti dalle major di Hollywood: pruriti legali da violazione di copyright e meteorismo finanziario da mancato guadagno. Il video-sharing gratuito di clip porno – spesso prelevate da film protetti da copyright – sta mettendo in ginocchio tutte le più importanti società del settore. Come riporta il Sidney Morning Herald i dati che delineano il contesto sono a dir poco impressionanti. Il noto produttore/editore Vivid, ad esempio, un tempo doveva l’80% del suo fatturato alle vendite dei DVD; oggi queste pesano per non più del 30%.
Presto spiegato il motivo che ha portato Steven Hirsch, co-fondatore di Vivid, a decidere di denunciare PornoTube per violazione delle norme sul copyright.
“Abbiamo a che fare con una pirateria rampante, tonnellate di contenuti gratuiti”, ha sottolineato Hirsch. Ma i gestori delle varie piattaforme continuano a difendersi sostenendo praticamente tutti la stessa teoria. “Non siamo pirati. Forniamo un servizio di cui alcuni abusano”, ha dichiarato Lance Cassidy, uno dei fondatori di XTube. Secondo Curtis Potec, direttore vendite del sito, la questione di fondo riguarda semplicemente il modello di business. “Un sacco di persone ci dicono che questo è il futuro dell’industria per adulti. La maggior parte dei soldi nei siti, siano essi mainstream o per adulti, si fanno con la pubblicità”, ha spiegato Potec.
ValleyWag ha pubblicato le statistiche di accesso delle più note piattaforme online e del sito di Vivid per far comprendere meglio la portata del fenomeno. Ebbene, in base ai dati rilevati da Compete.com , è evidente il successo crescente dello sharing online: in un anno Xtube ha aumentato la sua audience del 241%; YouPorn del 9202% (non è un refuso); Vivid del 5%.
L’unica soluzione, a questo punto, sarebbe quella di coinvolgere i grandi broadcaster, i fornitori di servizi wireless e i carrier mobili. Insomma, i colossi IT che ancora oggi continuano a non ammettere di essere in trattativa con il Mondo del Porno. Nomi? Microsoft ed Apple, ad esempio. Jay Grdina, Presidente di ClubJenna, una divisione di Playboy, ha confermato di essersi incontrato più volte con le rispettive dirigenze. I problemi non sono morali, ma solo tecnici e di copyright.
Dario d’Elia