Roma – Salve, vi invio per e-mail un intervento che ho fatto nel vostro forum e che, secondo me, merita più visibilità. Riguarda la lettera “Informatico? Professione
misconosciuta” da voi pubblicata.
Nell’informatica l’esperienza NON può sostituire lo studio e lo studio NON può sostituire l’esperienza. Per fare buone applicazioni le due cose DEVONO andare insieme.
Laurearsi in informatica o in ingegneria informatica NON significa saper programmare, ma saper applicare ai problemi informatici dei metodi di ragionamento (analisi e sintesi) tipicamente ingegneristici.
L’università ti insegna i linguaggi e i loro punti deboli e di forza, ma non deve (ed è giusto così) fornirti l’esperienza da programmatore. Le università a indirizzo informatico NON sono scuole per programmatori. Né saper programmare significa essere dei bravi informatici.
Per imparare a programmare bene esiste un solo modo: studiare il linguaggio e applicare a casi concreti (via via più complessi) ciò che si è studiato. E per fare questo non è necessario andare all’università.
Quando lavoravo alla mia tesi il mio prof. mi disse di studiare (per conto mio) Linux, Java, Perl e Php. Per impararli ho scaricato un sacco di manuali da Internet e ho iniziato a smanettare (ma non ho fatto nessun corso in cui mi venivano spiegati…).
Chi dice che la laurea è solo un pezzo di carta probabilmente non ne conosce il valore (come chi pensa che all’università debbano fornirti l’esperienza da programmatore).
E chi dice che basta la laurea per essere qualificati dimentica il valore dell’esperienza.
L’informatica è un settore vastissimo in continua e velocissima evoluzione, e quindi è ASSOLUTAMENTE impossibile trovare un informatico (laureato o no) che SAPPIA tutto e sia aggiornatissimo. Puoi trovare quello che è bravissimo con il C++ ma non sa niente di sicurezza, o quello espertissimo di Linux e che magari non sa nulla delle API di Windows, e così via.
La mia laurea in Ingegneria Informatica NON mi ha insegnato a programmare (anche se ho fatto alcuni esami che prevedevano lo studio di vari linguaggi e varie prove di programmazione), ed è giusto che sia così; mi ha insegnato a ragionare progettando soluzioni e ad essere pronto ai veloci cambiamenti (=continuare a studiare anche dopo la laurea).
Il punto cruciale che crea confusione nell’ambiente, secondo me, è che oggi NON esiste una vera distinzione fra chi progetta un’applicazione e chi esegue il progetto.
Purtroppo si tratta sempre della stessa persona (laureata o no).
Volendo fare un paragone: per costruire una casa potreste affidarvi SOLO all’esperienza di un bravo muratore con tanti anni alle spalle (ma nessuna capacità progettuale) oppure SOLO a un ingegnere neo-laureato con nessuna esperienza? Quello che ragionevolmente si fa per avere un buon risultato è: affidare all’ingegnere il progetto e al muratore la realizzazione.
Purtroppo nell’informatica la distinzione netta fra queste due figure (progettista e realizzatore) NON esiste: chi progetta necessariamente realizza. E purtroppo ci sono molti che realizzano applicazioni basandosi solo sull’esperienza o solo sullo studio, con conseguenze a volte catastrofiche.
A me, come a tutti gli ingegneri informatici, piacerebbe dovermi occupare SOLO di progettazione lasciando il resto ai programmatori con esperienza. Purtroppo questa cosa non è possibile e mi ritrovo a fare entrambe le cose (cercando di acquisire “sul campo” l’esperienza di programmazione che mi mancava dopo la laurea).
Infine: gli asini e gli incompetenti si trovano fra i laureati e fra i non laureati, quindi invito a non generalizzare tutti quelli che dicono: “ho conosciuto dei laureati che non sapevano fare questo né quello”.
Lettera firmata