La campionessa paralimpica Bebe Vio è stata oggetto di terribili insulti online . Nei giorni scorsi una pagina Facebook che auspicava pesanti violenze ai danni della schermitrice è stata ripetutamente segnalata come inappropriata da parte di numerosi utenti sconcertati dall’accanimento contro la ragazza. Bebe che dall’età di 11 anni vive “indossando” protesi a braccia e gambe dopo aver contratto una meningite fulminante, si è detta colpita quanto accaduto: “Sono amareggiata perché sono anni che do tutta me stessa e lotto per gli altri. Sono delusa perché mi fanno tristezza le persone che usano Internet per insultare” ha dichiarato all’ Ansa , confermando inoltre di aver denunciato gli autori della pagina .
Nonostante le numerose segnalazioni di mancato rispetto degli standard previsti da Facebook, secondo le ricostruzioni del Codacons , gli amministratori del sito avrebbero risposto che la pagina avrebbe rispettato gli standard (permettendogli così di rimanere online a lungo). La violazione dei termini legali di utilizzo del social network parevano però evidenti. La policy di Facebook infatti prevede, tra l’altro, che gli utenti si impegnino a “non denigrare, intimidire o infastidire altri utenti” e “non pubblicare contenuti minatori, pornografici, con incitazioni all’odio o alla violenza o con immagini di nudo o di violenza esplicita o gratuita” e “non usare Facebook per scopi illegali, ingannevoli, malevoli o discriminatori”.
D’altra parte Facebook specifica che “non controlliamo né guidiamo le azioni degli utenti su Facebook e non siamo responsabili dei contenuti o delle informazioni che gli utenti trasmettono o condividono su Facebook. Non siamo responsabili di alcuna informazione o contenuto offensivo, inappropriato, osceno, illegale o altrimenti deplorevole presente su Facebook. Non siamo responsabili della condotta, sia online che offline, di alcun utente su Facebook”. Il tema della responsabilità degli intermediari d’altronde è stato più volte tirato in ballo di recente soprattutto per implicazioni terroristiche (Twitter è riuscito più volte a difendersi tirando in ballo questa manleva di responsabilità ).
Secondo Codacons la gravità dell’accaduto è comunque inaudita. Oltre a non rispettare gli standard di Facebook sarebbero stati violati anche alcuni precetti costituzionali . Attraverso la pagina, ora finalmente rimossa, sono stati inevitabilmente veicolati messaggi di: “Incitamento all’odio, al razzismo, alla discriminazione per una disabilità, alla violenza, che costituiscono, invero, tutti elementi presenti nella policy di Facebook e dallo stesso vietati” scrive il Codacons nell’esposto. L’associazione dei consumatori pone l’accento in particolare sulla violazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione , volti a “salvaguardare i diritti assoluti dei cittadini di uguaglianza e di libera estrinsecazione della propria personalità”. Con queste motivazioni l’associazione, criticando aspramente la mancanza di reattività di Facebook nel rimuovere i contenuti ha chiesto alla Procura della Repubblica di Roma e Venezia, alla Polizia Postale e all’Autorità per le Comunicazioni, di “utilizzare ogni strumento investigativo consentito dalla legge e dal rito allo scopo di predisporre tutti i controlli necessari per accertare e verificare se i fatti esposti possano integrare fattispecie di illecito civile, amministrativo e penale, nella forma tentata e consumata, nonché individuare tutti i soggetti da ritenersi responsabili e di conseguenza adottare i dovuti ed eventuali provvedimenti sanzionatori”.
Nonostante gli sforzi compiuti da Zuckerberg per far sì che il suo social network sia un posto sicuro e rispettoso (a tal proposito sono numerosi i casi di intervento di rimozione di pagine oggetto di cyber bullismo , così come gli interventi per contrastare le notizie false ) i meccanismi di filtro e intervento sono al centro di molte polemiche. Ci si è messa anche la richiesta della presidente della Camera Laura Boldrini, rivolta al social network e agli intermediari, che dovrebbero assumersi le proprie responsabilità in quanto strumenti potenzialmente universali per la diffusione dell’odio . E pensare che la mission di Facebook avrebbe dei connotati filantropici: “offrire alle persone il potere di condividere e rendere il mondo più aperto e connesso”.
A questo punto a Bebe non rimane che andare avanti per la sua strada, lasciando che gli avvocati agiscano nella maniera più opportuna. Le manifestazioni di affetto dei tanti fan e del popolo della rete che da sempre supportano la campionessa aiuteranno a superare il momento. Alle dimostrazioni di affetto si è unito il Comitato Italiano Paralimpico, presieduto da Luca Pancalli, che ha commentato così la vicenda: “È inaccettabile che la rete venga utilizzata per disseminare odio e violenza e per alimentare questa barbarie. Voglio esprimere a Bebe la mia vicinanza e quella del Comitato”.
Mirko Zago