Manlio Germano: insultò Willi sui social, scoperta la reale identità

Insulti razzisti a Willy: scoperto Manlio Germano

Nascondersi dietro un falso profilo e far transitare il traffico dall'estero non è stato sufficiente: scoperta la reale identità di Manlio Germano.
Insulti razzisti a Willy: scoperto Manlio Germano
Nascondersi dietro un falso profilo e far transitare il traffico dall'estero non è stato sufficiente: scoperta la reale identità di Manlio Germano.

L’autore dell’intervento su Facebook che la Polizia Postale definisce “spregevole” (aggettivo che condividiamo appieno) comparso subito dopo l’uccisione di Willy Monteiro Duarte è stato scovato: a nulla è servito lo scudo di uno pseudonimo, Manlio Germano, né l’impiego di accorgimenti finalizzati a nascondere la reale identità.

Esultò per l’omicidio di Colleferro: identificato giovane di Treviso

Dietro il falso profilo un 23enne di Treviso rintracciato in un albergo del capoluogo toscano. È stato deferito alla Procura della Repubblica di Latina al termine di un’indagine che la Polizia Postale di Roma e Latina ha condotto in collaborazione con colleghi specialisti di Firenze e Venezia.

In seguito al tragico evento di Colleferro aveva caricato sul social network le foto di coloro ritenuti fin dal primo momento gli aggressori di Willy definendoli “eroi”, esultando per l’accaduto e chiamando “scimpanzé” la giovane vittima.

 

Il post di Manlio Germano su Facebook

Lo pseudonimo, Manlio Germano, sembra essere ispirato al nome del personaggio interpretato dall’attore Claudio Amendola nel film “Caterina va in città” di Paolo Virzì, del 2003. L’autore del post, stando a quanto emerso in sede d’indagine, “si connetteva ai social network attraverso provider esteri, addirittura utilizzando tecniche di anonimizzazione in grado di mascherare le tracce informatiche della navigazione, convinto che sarebbe stato impossibile rintracciarlo”. Dovrà ora rispondere del gesto.

Anonimato e giustizia possono convivere

L’accaduto riporta in auge due temi: il primo è legato all’urgenza di implementare iniziative e misure efficaci nella lotta al fenomeno del cosiddetto hate speech e del razzismo  (siano esse basate su automatismi o moderazione manuale), il secondo è quello dell’anonimato in Rete.

L’essere risaliti all’autore del post sulla vicenda di Colleferro, peraltro nemmeno l’unico del genere che abbiamo visto circolare in quei giorni, testimonia come le autorità siano in possesso degli strumenti utili ad attribuire le responsabilità quando necessario senza che si debba compromettere un diritto fondamentale di chi popola il mondo online, spesso legato a doppio filo alla libertà di espressione.

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Pubblicato il
21 set 2020
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