Leixlip – Ci sono voluti 7,5 miliardi di dollari per dare alla sede irlandese di Intel l’aspetto che ha oggi: quello di un moderno campus anglosassone con un cuore ipertecnologico allo stato dell’arte. E altri milioni e milioni vengono ancora investiti ogni anno per consentire al polo di Leixlip di tenere il passo con la concorrenza e le altre Fab di Intel sparse per il mondo: Santa Clara ha creduto nell’Irlanda per quasi 24 anni e continuerà a farlo, assicurano i manager. E le ricadute dell’investimento sono distribuite in tutta Europa, con centri di ricerca e poli universitari coinvolti nello sviluppo di nuovi processi e tecnologie: eccezion fatta per l’Italia .
Passeggiare per i (blindatissimi, anche per andare alla toilette occorre essere scortati dal personale) corridoi della Fab24 di Intel lascia a un cittadino del Belpaese l’amaro in bocca. A due ore d’aereo e meno di 2mila chilometri di distanza accade quanto di più avanzato e avveniristico si possa immaginare nel mondo dei semiconduttori e dell’informatica: 4mila dipendenti (sono oltre 18mila considerando l’indotto) lavorano allo sviluppo, design e realizzazione dei microprocessori che fanno muovere gli apparecchi elettronici di tutto il pianeta, all’interno di una filiera che integra tutto o quasi il percorso che il silicio compie dall’estrazione alla sua forma finale in foggia di CPU, memoria flash e più in generale circuito integrato. Intel sta continuando a investire per ammodernare e allargare il suo stabilimento: la Fab10 originaria è stata pensionata ma i suoi locali sono ancora lì, perfettamente manutenuti, la Fab14 è in standby pronta a essere riattivata in caso di bisogna (ed è anche stata collegata alla Fab24 per possibili future esigenze), e la Fab24 è stata raddoppiata dalla gemella Fab24-2.
Un procedimento affascinante, nel quale Intel investe milioni di dollari anche per coinvolgere l’istruzione irlandese (alla ricerca di ingegneri e tecnici super-specializzati da impiegare nella sua Fab: occorre un PhD per maneggiare le apparecchiature che sfornano microprocessori) e decine di centri di ricerca pubblici e privati sparsi in tutta Europa. Un “circolo virtuoso” che coinvolge positivamente l’economia locale, con altre aziende della Silicon Valley che arrivano a tenere compagnia al chipmaker di Santa Clara e finanziano a loro volta la manifattura e la ricerca del Vecchio Continente.
“L’Europa è interessata a conservare il tipo di manifattura che produce Intel? – si domanda un po’ polemicamente Eamonn Sinnott, vicepresidente del gruppo e responsabile per la filiale irlandese – Negli ultimi 10 anni qualcuno ha preso l’abitudine di parlare della manifattura come qualcosa del passato: ma lavorare in una fabbrica, una come questa, non è un lavoro di scarsa importanza, ci vuole personale intelligente e preparato per affrontare sfide e difficoltà di un mercato mondiale con una domanda crescente”. In questo senso, continua Sinnott, il modello irlandese è interessante: buona istruzione, tasse contenute e popolazione madrelingua inglese. “Tasse, talento, stabilità politica e tecnologia ( tax, talent, trust record, technology , ndr): le quattro t vincenti del modello irlandese”, conclude.
Questa miscela di ingredienti ha consentito a Intel di portare in un paesino a 25 minuti di automobile da Dublino (il modernissimo aeroporto locale si raggiunge in 20 minuti se non c’è traffico) lo stato dell’arte della sua tecnologia e della sua ricerca: a Leixlip arrivano i wafer di silicio “grezzo” e dopo un mese escono migliaia di microprocessori che in alcuni casi sono stati completamente progettati e realizzati proprio in Irlanda. Si tratta di prodotti realizzati con processi fino a 22nm (ma entro il 2013 è già previsto il passaggio della filiera a 14nm in tutte le Fab sparse in tre continenti: Nordamerica, Europa e Asia), anche se i prodotti lavorati a Leixlip sono realizzati generalmente a 65nm, e con tutti gli ultimi ritrovati tecnologici disponibili: Leonard Hobbs, a capo della ricerca di Intel Irlanda, descrive minuziosamente le conquiste tecniche che un moderno processore Core di terza generazione incorpora ( strained silicon , high-k metal gate , tri-gate ) che a suo dire lo rendono il più avanzato disponibile in commercio.
E la ricerca non si arresta: all’orizzonte c’è già il passaggio a 10nm nel 2015, e il salto successivo saranno i 5nm nel 2019. Una sfida non da poco, considerato che ormai da tempo si è superata la dimensione minima del transitor lavorato rispetto alla lunghezza d’onda della luce utilizzata per portare a compimento i processi litografici, che infondono nel silicio la logica che trasforma sabbia in una macchina in grado di svolgere milioni di calcoli al secondo. In Europa ci sono promettenti sviluppi per la tecnologia EUV , che consente anche di lavorare il wafer nel vuoto per aumentare il fattore di miniaturizzazione, e poi ci sono tutte le applicazioni della fotonica , del grafene , dei nanotubi di carbonio che attendono di passare dai laboratori (anche in questo caso laboratori del Vecchio Continente: basti pensare che i padri del grafene sono di stanza all’Università di Manchester ) alla catena di produzione entro qualche anno. La struttura della manifattura Intel è quanto di più moderno si possa incontrare in questo settore: Santa Clara si vanta di includere l’intero processo di produzione nel proprio ciclo interno, e questo comprende anche la progettazione e realizzazione degli impianti di produzione che vengono costruiti con un metodo davvero particolare (a voler essere pignoli, fa eccezione la produzione dei wafer di silicio grezzo: per le barre cilindriche di diametro compreso tra 20 e 30 centimetri, i cosiddetti “lingotti”, Intel si rivolge a un produttore tedesco, che glieli consegna in diversi formati già affettati e pronti per essere lavorati). La struttura di una Fab Intel prevede quattro livelli : il cuore della produzione è il primo piano, quello dove si trovano le camere bianche e dove circolano i tecnici vestiti di tute anti-contaminazione per impedire che la sporcizia pregiudichi l’efficienza dei chip lavorati, ed è proprio questo il primo livello che viene realizzato nel corso della costruzione per preservarne il più possibile l’interno dalla sporcizia tipica di un cantiere edile.
Una volta completato e sigillato il primo piano, sopra e sotto il livello di produzione si sviluppa il resto della struttura: al piano terra c’è la parte meno “sterile”, quella che comprende le fondamenta dello stabile e i silos che contengono le sostanze chimiche utilizzate nel corso dei processi di lavorazione, oltre ovviamente alle apparecchiature atte alla depurazione delle acque (Intel vanta in questo senso un primato, con tanto di programma di monitoraggio dei fiumi che scorrono accanto allo stabilimento e della loro fauna ittica), mentre nei piani superiori ci sono altri locali per il personale e il complesso sistema di depurazione dell’aria che occorre per tenere fuori dalle camere bianche (la zona di produzione con un livello di pulizia massimo, meno di 10 particelle da 0,1 micron per metro cubo d’aria – il mondo reale contiene milioni e milioni di particelle più grandi di un micrometro). Le procedure di controllo per accedere alle aree di produzione sono rigidissime, e come detto occorre personale più che specializzato per gestire al meglio le costose apparecchiature e il particolare ambiente di lavorazione.
I tecnici si alternano con turni di circa 12 ore nella camera bianca, mantenuta costantemente a 21C di temperatura e con una pressione leggermente superiore a quella atmosferica (ideale per garantire ulteriormente la sua sterilità in caso di non perfetta chiusura ermetica del perimetro: se si dovesse presentare una breccia, la pressione spingerà l’aria all’esterno impedendo agli agenti contaminanti di entrare). Sebbene si tratti di un impianto altamente automatizzato, con apparecchi automatici che trasportano in giro per la fabbrica e da un macchinario all’altro i wafer di silicio (i sottili dischi che vengono spostati da un punto all’altro dell’impianto per completare i 300 passaggi necessari per trasformarli da poco più che un pezzo di sabbia a una CPU o un dispositivo di memoria), l’intero processo è supervisionato da esseri umani : a loro spetta il compito di ottimizzare il livello di produttività delle singole apparecchiature, per evitare congestioni e code che possono insorgere in caso di avaria.
Al personale spetta anche il compito di supervisionare la qualità della produzione: controlli a campione vengono eseguiti costantemente per monitorare la precisione e la pulizia della lavorazione, e nel caso vengano rilevati problemi macroscopici il materiale viene prelevato e inviato a un laboratorio specializzato che fornirà risposte precise su composizione chimica, irregolarità di lavorazione o possibile contaminazione dell’ambiente di produzione.
Per completare centinaia di passaggi nei diversi macchinari occorre un periodo compreso tra le 3 e le 4 settimane : in tutto questo tempo i wafer di silicio rimangono stipati in dei box di policarbonato che vengono mossi da carrelli automatici che scorrono su binari installati sul soffitto e le pareti della camera bianca. Nelle Fab Intel come quella di Dublino il processo di produzione comprende il rame come strumento di interconnessione elettrica: per evitare la contaminazione da parte del materiale conduttivo delle lavorazioni semiconduttive ci sono etichette di avvertimento disposte su tutti i macchinari dai quali il C4 (il rame) deve restare fuori, così come i box che contengono i wafer già passati nelle macchine dove è presente il conduttore sono di colore arancione per distinguerli dagli altri (trasparenti) e allo stesso modo i tecnici che operano con il rame indossano una tuta arancione.
Normalmente le tute indossate dagli operai, se così si possono definire gli specialisti della Fab24, sono bianche: le zone dove avviene la litografia, ovvero il processo di tipo fotografico che “imprime” nel silicio la logica che gli permette di svolgere calcoli, sono illuminate con una particolare luce arancione, mentre altrove domina un bianco latte che ricorda molto una struttura sanitaria. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, tuttavia, la camera bianca non è un’ambiente sigillato per sempre: la struttura è pensata per essere riorganizzata nel corso della sua vita operativa , e per questo sono presenti delle porte scorrevoli lungo alcune pareti per consentire di spostare i macchinari in vista dell’evoluzione dei processi di produzione. Gli unici apparecchi che non si spostano mai sono quelli della litografia: con un costo da oltre 25 milioni di dollari a testa (e ce ne sono parecchi distribuiti in tutta la fabbrica), sono troppo costosi e delicati per essere spostati, e addirittura sono ancorati con fondamenta proprie al suolo che giace sotto lo stabilimento per garantire la massima integrità.
Attraversando il corridoio che costeggia la zona di produzione si incontrano decine di persone che forniscono supporto ai tecnici che lavorano nella camera bianca: si tratta del personale che provvede a rifornire continuamente i vari apparati necessari al funzionamento dei macchinari, di altri tecnici che verificano il funzionamento del sistema di purificazione dell’aria, personale dedicato alle pulizie, ricercatori dei laboratori di sviluppo, persino operai edili che provvedono a mantenere la struttura in ordine e ne consentono la continua evoluzione. Intel sta continuando a “ottimizzare” la Fab24 e a tenere in forma la 14 in vista di un possibile drastico incremento di produzione, e in ogni caso è già allo studio il piano per migrare l’intera produzione verso nuovi processi (ivi compreso quello da 14nm) e oltre: il processo non richiederebbe più di qualche settimana per andare a regime, dal momento in cui si passasse dalla teoria alla pratica. Il 70 per cento dei macchinari esistenti potrebbe ancora venire utilizzato l’anno prossimo nel caso di passaggio a un processo di miniaturizzazione superiore, ma entro 4-5 anni l’intera infrastruttura dovrà essere aggiornata : ogni salto generazionale richiede un investimento globale di circa 8 miliardi di dollari , e questo sforzo va compiuto ogni 2 o 3 anni al massimo per garantire il rispetto della famosa “legge di Moore”. Nonostante la percezione del pubblico associ Intel più che altro alle CPU che fanno funzionare la maggioranza dei PC in circolazione, l’azienda di Santa Clara pensa a sé stessa in modo differente: il chipmaker non si vede “limitato” al mercato dei personal computer, e in effetti probabilmente non lo è mai stato, ma si vede piuttosto proiettato in moltissimi settori che fino a oggi hanno goduto poco della rivoluzione tecnologica e nei quali Intel pensa di poter lasciare il segno. Si tratta in primo luogo di healthcare e smart-city : è attorno a queste due aree, che comprendono moltissime altre tecnologie legate a mobile e wireless per esempio, che si concentrano parecchi degli sforzi dei tecnici di Intel Labs che lavorano nel Vecchio Continente.
Esempi lampanti di questo impegno multidisciplinare sono costituiti dalle sperimentazioni in corso a Dublino e in via di attivazione a Londra. In queste città, che Intel punta a trasformare in esempi di sviluppo urbano sostenibile, l’azienda ha messo insieme una manciata di tecnologie partorite dai suoi lab: c’è ad esempio WEST ( wireless energy sensing technology ) che serve a monitorare i consumi casalinghi dei diversi elettrodomestici, e che si unisce a enLive (che permette di valutare i consumi elettrici domestici e riorganizzarli affinché possano attingere alla rete di distribuzione nel momento di minor costo giornaliero dell’energia). Tutto questo si fonde nel più ampio CityWatch : una rete di sensori distribuita sul tessuto cittadino in grado di fornire informazioni in tempo reale relative a condizioni ambientali e traffico, e che consentiranno ai cittadini di ricevere e fornire informazioni aggiornate sullo stato della propria città (es: evitare zone a rischio per soggetti allergici, prevenire incidenti legati al maltempo, fornire report sul traffico veicolare ecc).
Se per i singoli compiti, come quelli di una stazione installata su un semaforo che raccolga dati su traffico e inquinamento, bastano piccole potenze elaborative già ampiamente alla portata di un processore Atom, per elaborare e mettere in rete tutte le informazioni occorrono potenze elaborative crescenti: l’Europa è anche al centro di un enorme sforzo per portare avanti la ricerca dell’exascale-computing , ovvero la frontiera che porterà la potenza dei supercomputer ben oltre le capacità attuali misurate nell’ordine dei petaflop. Anche in questo caso Intel è impegnata a contribuire in collaborazione con decine di laboratori locali, pubblici e privati: il professor Martin Curley , direttore degli Open Labs europei di Intel, la chiama “open innovation 2.0”, l’unica forma di collaborazione trasversale possibile, sostiene, in grado di sostenere la curva evolutiva attuale della scienza.
Ancora una volta, però, duole dover riscontrare che l’Italia non fa parte di questo movimento . A conclusione di un lungo intervento, in cui lo stesso Curley ribadisce l’enorme potenziale contributo che la sua azienda e in generale l’informatica possono garantire alla società, lo scienziato lascia agli spettatori una domanda: “La tecnologia è pronta a cambiare la società, noi siamo pronti? La società è pronta?”. Far parte di questa rivoluzione, la auspicata Terza Rivoluzione Industriale di Rifkin , richiede uno sforzo che probabilmente va oltre i semplici impegni del programma Europa 2020 della Commissione Europea: in questo senso la ricerca e gli investimenti nella ricerca italiana devono fare un enorme balzo in avanti per poter collaborare con queste iniziative che sono letteralmente l’apice del progresso tecnologico mondiale. C’è solo da augurarsi che alla prossima occasione nella quale Intel mostrerà una cartina con i poli tecnologici che fanno parte del proprio ecosistema di R&D ci sia anche una bandierina su una qualsiasi delle università del Belpaese.
a cura di Luca Annunziata