Il Dipartimento di Giustizia (DoJ) statunitense ha formalizzato l’accusa nei confronti di Harold Thomas Martin III, cinquantaduenne del Maryland che a quanto sostiene il governo avrebbe passato gli ultimi 20 anni a raccogliere, trafugare e accumulare materiale dalla natura estremamente sensibile riconducibile all’intelligence USA.
In tutti questi anni Martin ha lavorato come freelance per sette diverse organizzazioni private in affari col Pentagono, una lista che include anche Booz Allen Hamilton, la società per cui ha lavorato Edward Snowden prima di svelare al mondo il volto orwelliano delle attività di spionaggio della NSA e agenzie sorelle.
Grazie alle sue autorizzazioni di sicurezza, continua il DoJ, il contractor ha messo le mani su parecchi progetti, documenti e file digitali riservati il cui accesso richiede credenziali top secret o persino superiori (SCI). E Martin era stato adeguatamente addestrato a come trattare le informazioni classificate per proteggere dalla diffusione non autorizzata.
Training a parte, Martin avrebbe invece pensato bene di sottrarre documenti, pianificazioni e dati portandoseli letteralmente a casa o nascondendoli nel suo veicolo. L’attività di sottrazione è iniziata nel 1996 ed è arrivata almeno fino all’agosto del 2016 , accusa il DoJ, e ha potenzialmente compromesso qualcosa come 50 Terabyte di dati.
Se confermata, insomma, la breccia non sarebbe affatto uno scherzo: secondo le indiscrezioni Martin avrebbe messo le mani sui piani organizzativi della National Security Agency (NSA) per il 2014, i potenziali cyber-obiettivi stranieri e le relative tecniche di hacking, i metodi di difesa dei computer del governo (2009), un dossier sul lancio di un satellite spia da una base segreta (2007), i tool usati dai cyber-guastatori NSA della squadra nota come Tailored Access Operations e molto, molto altro ancora.
In attesa di comparire davanti al giudice, il legale del contractor difende il suo cliente parlando di un uomo abituato ad “accumulare” materiale senza cattive intenzioni: Martin “ama la sua famiglia e il suo paese”, ha dichiarato l’avvocato, e non si tratta di un nuovo Edward Snowden come qualcuno vorrebbe far credere. Secondo le stime del DoJ, Martin rischia un massimo di 200 anni di prigione.
Alfonso Maruccia